La provocazione. Il Cnel non va abolito ma rilanciato

cnelDi fronte all’ abolizione del CNEL, annunciata con disarmante superficialità  da Matteo Renzi, nel corso di una conferenza stampa, non siamo tra coloro che  – come è stato scritto fatalisticamente da qualcuno – se ne faranno una ragione. Al contrario. L’abolizione del Consiglio non può essere giustificata  dalla politica delle semplificazioni e dei risparmi. I circa 20 milioni di Euro spesi dallo Stato per mantenere in vita il CNEL (tra costo della sede, personale, consiglieri e presidente)  sono  ben poca cosa, di fronte ai buchi e agli sprechi del bilancio pubblico. La questione – diciamolo  chiaramente – è “di sostanza”.

Con l’eliminazione di uno degli “organi ausiliari”, previsti dalla Costituzione, si vuole porre fine all’ultimo, debole tentativo di dare spazio e voce alla rappresentanza per categorie e agli interessi organizzati della società civile (dei 64 consiglieri – non dimentichiamolo – 10  sono “qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica”;  48 sono  “rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato”, di cui: 22 rappresentanti dei lavoratori dipendenti, tra i quali 3 “rappresentano i dirigenti e i quadri pubblici e privati”; 9 rappresentanti dei lavoratori autonomi e delle professioni; 17 rappresentanti delle imprese; 6 rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato).

Nel momento in cui la crisi della rappresentanza politico-parlamentare  sembra  avere toccato livelli altissimi (testimoniati dall’astensionismo elettorale e dalla dichiarata lontananza tra cittadini ed istituzioni) uno “strumento” come il CNEL può essere ancora utile ad indicare una possibile via d’uscita, non solo prefigurando, quanto rendendo evidente un nuovo, diverso sistema rappresentativo.

Diciamo allora che  il CNEL  ha in sé grandi potenzialità, rappresentando, come emerse in sede di dibattito alla Costituente, uno degli elementi più significativi ed evolutivi rispetto ala tradizione giuridico-sociale post unitaria e liberale, legandosi idealmente, se non manifestatamente, per evidenti motivi di opportunità politica, con le esperienze corporativistiche del Ventennio e con la migliore scuola del solidarismo cattolico. E’ anche per questo che dà fastidio ? Non lo crediamo, convinti come siamo che Renzi e la sua pattuglia di “rottamatori” non sia neppure consapevole del livello e dell’importanza  di un dibattito, che, in sede di Assemblea Costituente, vide la partecipazione, tra gli altri, di Costantino Mortati, Luigi Einaudi, Giuseppe Di Vittorio.  Questioni vecchie – si dirà. Ma questioni che – oggi, come ieri – sono il nocciolo della crisi del nostro sistema-Paese, della sua vita politica, dell’ordinamento sociale, della stessa tenuta economica.

Se va indubbiamente riconosciuto che alle speranze della vigilia e all’importanza del dibattito che ne accompagnò la nascita, non ha corrisposto un adeguato “uso” di tale strumento istituzionale (che non può essere esaurito nelle 14 proposte di legge, nei 350 testi di “osservazioni e proposte”, nei 270 “rapporti e studi”, nelle 90 “relazioni”, nei 20 “protocolli e collaborazioni istituzionali” e nei 130 “dossier” che raccolgono gli atti di altrettanti convegni) bisogna prendere atto che, nel corso degli anni, non è stato sciolto il nodo essenziale sulla collocazione del CNEL  rispetto ad altriorganismi di rappresentanza-consultazione, sia quello della sua “riconoscibilità” da parte del mondo delle categorie e della produzione.

Più che abolito il CNEL va allora “ripensato” e rilanciato in ragione delle sue potenzialità e del ruolo che le categorie produttive ed il mondo del volontariato potrebbero svolgere, in una prospettiva autenticamente “ricostruttiva”, con lo sguardo rivolto al “dopo”, alla necessità-opportunità di sperimentare concretamente un modello partecipativo “integrale” ed autentiche forme di inclusione sociale.  

Il CNEL potrebbe insomma riappropriarsi  di un ruolo non secondario, che proprio nella condivisione e nel dialogo sociale troverebbe la sua ragione d’essere ed il suo fondamento, formale e sostanziale.

Siamo purtroppo agli auspici, con la speranza che qualcuno, forza politica, realtà sindacale ed associativa, si faccia carico di queste esigenze. Di più non sembra esserci concesso, in un tempo in cui a dominare è una bizzarra concezione della rappresentanza e della democrazia, ormai valutata con il bilancino dei costi e dei benefici, dei “tagli” e delle “semplificazioni”.

 

 

 

 

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Mario Bozzi Sentieri

Mario Bozzi Sentieri su Barbadillo.it

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