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Ombre sull’Occidente e l’attualità del pensiero di Oswald Spengler

Il libro oggi ripubblicato è una suggestiva introduzione al pensiero e alla vita dell'autore e comprende un’antologia di scritti che fornisce un’utile primo colpo d’occhio sulla visione politica del pensatore tedesco

by Francesco Boco
27 Giugno 2025
in Cultura, Libri
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Ombre Occidente Spengler, per il Cinabro

C’è stato un tempo in cui l’Europa era ancora l’Occidente, e questo termine indicava l’estremo limite della civiltà, l’orizzonte più vasto e ambizioso dell’ingegno e della volontà. Con la Prima Guerra Mondiale avviene una frattura storica decisiva, che consegna il primato europeo alle memorie di passata grandezza. Mentre per molti furono gli anni della guerra a segnalare l’acuirsi di una crisi sempre più severa, un oscuro filosofo tedesco di nome Oswald Spengler già nel 1911, all’indomani della crisi di Agadir che contrappose Francia e Germania nel contesto della corsa coloniale in Marocco, comprese il corso degli eventi. In questi anni iniziò la stesura della sua opera capitale, Il Tramonto dell’Occidente, che uscì però in due volumi nel 1918 e 1922, divenendo ben presto un best seller senza tempo.

A ricordare l’importanza epocale di questo autore e delle sue opere filosofiche e politiche, contribuisce egregiamente il volume di Adriano Romualdi Ombre dall’Occidente, ripubblicato di recente da Cinabro Edizioni e arricchito da una bella introduzione di Gennaro Malgieri. Originariamente uscito nel 1973, pochi mesi prima della scomparsa di Romualdi, il libro oggi ripubblicato è una suggestiva introduzione al pensiero e alla vita di Spengler e comprende un’antologia di scritti che fornisce un utile primo colpo d’occhio sulla visione politica del pensatore tedesco.

L’idea di civiltà

Spengler delinea una morfologia della storia tutta tesa a fissare i caratteri con cui si compie l’intero corso della parabola vitale delle principali civiltà umane. Una civiltà è per lui la massima espressione del destino storico collettivo. In essa si realizzano i caratteri peculiari di una società umana e si compiono secondo uno schema abbastanza prevedibile.  Julius Evola, traduttore del Tramonto, ha brillantemente scelto di trasporre i termini chiave Kultur e Zivilisation rispettivamente con civiltà e civilizzazione. Queste due parole attraversano tutta l’opera di Spengler e definiscono due momenti fondamentali nella storia delle civiltà: una fase vitale, la Kultur, e una fase di decadenza, la Zivilisation. 

Nell’opera principale individua otto civiltà storiche, la Greca, l’Egizia, l’Islamica fino ad arrivare all’Occidentale, le quali secondo lui hanno una durata vitale di circa 1000 anni e una volta concluse lasciano il posto all’avanzata di una nuova civiltà Curiosamente per Spengler non vi è continuità tra la grecità e la civiltà occidentale, ma si tratta di uno schematismo che andrà ad attenuarsi nelle opere più tarde, come Urfragen, in cui sembra farsi strada l’idea della trasmissione di alcuni caratteri tra diverse epoche storiche.

Allievo di Goethe e Nietzsche, Spengler considera le civiltà come delle piante. La civiltà è un albero che pianta le sue radici in un territorio, lì cresce e si sviluppa al pieno delle potenzialità, fino a quando la forza originaria non inizia a spengersi, la volontà di procedere si infiacchisce e lentamente la pianta si irrigidisce. La civilizzazione è quindi l’onda lunga dello splendore ormai passato, e non può far altro che prolungare la sua esistenza con stanchezza, andando incontro al suo inesorabile destino. Ma il destino di una civiltà – questo concetto grandioso e terribile che come una sferza guida le azioni degli uomini nella storia – è determinato da un simbolo primario, che di fatto ne condiziona l’intero corso. Per la civiltà arabo-islamica è la caverna (interiorità spirituale, misticismo, algebra), per i greci il corpo plastico (forma visibile, finita, limite), per la civiltà cinese la muraglia (ordine, armonia) ma per la civiltà occidentale è l’infinito, e ne determina la spinta al progresso illimitato, alla trascendenza spirituale, alle architetture monumentali e all’espansione territoriale. 

L’Occidente

L’Occidente è per Spengler la civiltà faustiana, perché come il Faust di Goethe non è mai esausta, non è mai soddisfatta dei propri traguardi e anzi tende sempre ad autosuperarsi, a lanciarsi sempre oltre. Il simbolo di una civiltà ne rappresenta quindi il destino originario perché determina le forme del suo sviluppo storico. Da qui fa la sua comparsa la morfologia della storia, che studia appunto il divenire delle Kultur attraverso tutte le loro principali forme storiche.  Tutto si tiene in uno schema coerente, in cui politica, arte, architettura, scienza, economia, religione sono lo specchio di un’anima che si esplica in epoche ben definibili. Il divenire, concetto che il filosofo tedesco mutua da Eraclito, è il campo d’azione privilegiato in cui l’uomo storico, dunque l’europeo in senso proprio, si realizza nella sua volontà consapevole. Senza il divenire storico l’uomo non potrebbe compiere se stesso e il destino della sua civiltà. E anche se la decadenza, il tramonto appunto, sembra essere l’ultima parola, bisogna percorrere fino in fondo la rotta tracciata dalla necessità storica.

Scrive Romualdi: «Manifestare la propria forma, diventare quel che si è: ecco tutto il senso della vita. […] Il fine della civiltà non è utilitario. Essa non esiste per la felicità dei più, ma per dispiegare se stessa come uno stile artistico. Il fine della storia non esiste; esso non è comunque un socialistico paradiso dei mediocri, ma la libera affermazione delle forme più alte. È la vita stessa che vuole ascendere, godere, creare e poi tramontare».

Una prospettiva aperta

Nonostante la sua visione storica appaia deterministicamente orientata a una fine senza appello, già nella conclusione del Tramonto sembra farsi largo una prospettiva aperta a soluzioni politiche adatte ai tempi estremi. Qui Spengler inizia a parlare di socialismo prussiano e di cesarismo. Ad entrambi dedicherà diversi saggi politici di grande interesse che costituiscono un importante sviluppo della sua visione. I tempi ultimi della civilizzazione richiedono per lui un atto di decisione politica portato avanti da uomini spregiudicati e lucidi, in grado di superare le lentezze burocratiche e di comprendere appieno il proprio tempo. Questi uomini dai tratti guerreschi sono più capi militari che partitici, hanno dalla loro la potenza della volontà armata. Coì starebbe nella loro salda presa la capacità se non di rettificare la civiltà, per lo meno di guidarla con orgoglio e disciplina attraverso le tempeste della storia.

E mentre Spengler vede avanzare la rivoluzione comunista a oriente, pronta a minacciare l’Europa, preannuncia anche la ancor più tremenda minaccia della rivoluzione dei “popoli di colore”, quelli che un tempo erano soggetti al giogo occidentale e che una volta liberati saranno pronti, lui dice, a puntare le armi contro i vecchi signori. Se alla prima contrappone il vero socialismo prussiano, continentale, fondato sul dovere del servizio e sulla cooperazione tra le classi, alla seconda rivoluzione oppone il necessario risveglio dell’orgoglio di popoli ormai invecchiati e indeboliti, che devono prendere coscienza del proprio passato e del proprio avvenire, se vorranno ancora continuare ad esistere.

L’interpretazione di Adriano Romualdi

Adriano Romualdi (dal sito Azione tradizionale)

L’opera suggestiva e imponente di Oswald Spengler non smette di interrogare i lettori, perché, nonostante essa rimanga problematica e talvolta troppo rigida, sa dischiudere orizzonti di senso vasti e avvincenti, ponendo delle domande oggi più che mai ineludibili. È in questo interrogare che si cala Adriano Romualdi, nella sua grande capacità di sintesi e nella limpidezza di un pensiero che è sempre operativo e pienamente politico. Perché la sua interpretazione di Spengler, come quelle di Platone, Nietzsche, Evola, è in funzione della lotta delle idee, di quell’epocale scontro che chiama in causa l’esistenza stessa dell’Europa come civiltà, o meglio civilizzazione. Chiarisce Gennaro Malgeri nella sua introduzione: «pensando per grandi spazi e forte di una concezione geopolitica che superava gli angusti limiti del nazionalismo, Romualdi riconnetteva alla questione dell’unità europea un’importanza primaria. Si trattava, a suo giudizio, di dare un senso compiuto all’idea dell’Europa riscoprendo le ragioni e gli elementi remoti del suo essere e proiettandoli nel presente e nell’avvenire in modo tale da dare il senso di una comunità compiuta sotto il profilo culturale, storico e politico».

Se allora in qualche misura si può parlare di una decadenza occidentale, di quella terra del tramonto in cui si allungano le ombre della sera sulle rovine della grandezza passata, solo uno sforzo di volontà che si assuma la decisione di un destino autenticamente europeo potrà, armato del fuoco di una nuova origine, proiettare nell’avvenire la sorte della civiltà faustiana.

Francesco Boco

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Tags: cinabrofrancesco bocoGennaro MalgieriOmbre sull'Occidenteoswald spengler

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