Lunedì 23 giugno, nell’ora del crepuscolo – un poeta o uno sciamano sanno il senso dell’ora- sulla scena del Teatro Greco di Siracusa si è inverata la parola di Sofocle. “Tu proteggi sempre questi misteri, da solo, e quando sarai vicino alla morte trasmettili soltanto al tuo primogenito, e lui al suo erede, e in questo modo per sempre. E così la città in cui vivi sarà sempre al sicuro…”: queste le parole che Edipo consegna a Teseo. La sacralità del luogo inverata dalla custodia perenne di chi ha scelto di abitarla. Di chi, diremmo oggi, ha scelto di consacrarla con le sue parole. Parole vestite da un corpo di straordinaria capacità scenica. E Siracusa sceglie ancora una volta di consacrarsi consacrando la bravura indiscussa di Giuseppe Sartori, l’attore che ha dato vita a Edipo. Gli consegna per la seconda volta il Premio Stampa Teatro. Dopo “Edipo re” anche per “Edipo a Colono” la maggioranza dei critici teatrali delle maggiori testate giornalistiche accreditate straniere, nazionali e regionali, trova in Sartori un “attento servo delle parole”. Così nella motivazione. Aggiungiamo un attore di straordinaria umanità, mostrata non solo in scena, in cui rende ben chiaro come il mestiere dell’attore significa consegnare al testo e al pubblico ogni vena, arto, organo, sentimento del proprio corpo umano, ma anche nel rapporto con la città, che lo ama e ne è ricambiata. L’ovazione strameritata al momento del premio ne è il segno.
Raggiunto al telefono, Sartori ci dice “Non mi aspettavo il premio, avendolo già ricevuto due anni fa per lo stesso personaggio ed è per questo che l’ho ancora più apprezzato. E’ un premio per me legato non solo all’incontro con Carsen ma anche con questo personaggio. Mi sento fortunatissimo ad aver potuto interpretarlo. Cosa mi ha lasciato? L’assenza di uno dei cinque sensi. La mancanza della vista mi ha fatto scoprire delle cose singolari. Un espressività diversa, più libera, più svincolante”. Diremmo ascetica. Perché ascetico è Sartori alle soglie del bosco delle Eumenidi e poi Eumenide egli stesso.
Non solo Edipo. La 60. Stagione delle Rappresentazioni Classiche si avvia alla conclusione ed è tempo di premi. Il premio Eschilo d’Oro, assegnato la scorsa settimana dalla Fondazione Inda, è andato a Elisabetta Pozzi. Nella motivazione si legge che “Elisabetta Pozzi ha saputo dare vita e spessore alle passioni, ai furori, e ai crimini delle eterne protagoniste del dramma antico, regalando al pubblico affondi di interpretazione indimenticabili”. Tra questi affondi c’è pure il personaggio di Lisistrata che Pozzi interpretò nel 2019 con la dimenticabile regia di Tullio Solenghi e meno male che la protagonista era un’attrice come Elisabetta Pozzi.
La quale per scherzo del destino riceve il premio Eschilo d’oro mentre va in scena un’altra Lisistrata con protagonista Lella Costa. Magari lo scherzo del destino, o chissà del diavolo (si sa il diavolo è beffardo), fa assegnare proprio a Lella Costa, il premio Assostampa alla carriera. A nessuno venga la tentazione di fare confronti perché le due eroine (le attrici o il personaggio?) sono vittime delle regie. Inoltre, come più volte ha giustamente affermato Lella Costa, Lisistrata è un personaggio di cui Aristofane non dice nulla, quindi la furia di Elisabetta Pozzi e la staticità di Lella Costa nel salvare la commedia pari son.
Ci si ricorda, infine, che quest’anno è stata rappresentata “Elettra” con la regia filologicamente perfetta di Roberto Andò e con una impetuosa Sonia Bergamasco e una potente Anna Bonaiuto. Il premio “Stampa Teatro – Artisti di Sicilia” va al maestro, nel senso più vero e meritato del termine, Giovanni Sollima, compositore delle musiche di “Elettra”. Basta il dato nudo e crudo.
Tra i premi manca, però, un riconoscimento alla traduzione. Se lo si dovesse istituire a partire da quest’anno sarebbe davvero difficile scegliere il vincitore. Giorgio Ieranò per “Elettra” e Francesco Morosi per “Edipo a Colono” hanno regalato due testi di grande impatto, poetico il primo mistico il secondo e senza rinunciare entrambi al realismo icastico imposto dalle vicende. Anche Nicola Cadoni con “Lisistrata” è riuscito a mediare brillantemente tra scurrilità e reticenza, sempre in difficile equilibrio quando si tratta di tradurre il comico del V sec. a.C. Ecco, a loro poteva andare un ex aequo. Che è sempre possibile assegnare.
Foto di Maria Pia Ballarino. di Pozzi e di Franca Centaro