«Ecologia» è termine composto dalle parole greche oikos e logos. «Oikos»: ambiente domestico, cioè l’insieme di luoghi, beni comuni e persone nel quale abitiamo. La definizione migliore l’ha data Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì: “casa comune”. Ogni luogo è legato agli altri, integrandosi reciprocamente in un organismo che arriva a comprendere tutto l’universo.
«Logos» vuol dire “ragion d’essere”, cioè espressione di un’identità profonda, che manifesta il suo significato originario in parole, azioni e ancora in tutti i modi possibili, ovunque e sempre. L’ecologia esprime perciò la ragion d’essere della casa comune, la sua natura.
Bisogni vs ingordigia
«Economia» è termine composto anch’esso da oikos, coniugato però con la parola nomos, che è lo “spirito della legge”: l’economia sarebbe perciò l’arte di gestire al meglio i beni comuni per rispondere col giusto uso e lavoro ai bisogni di tutti, senza lasciar prevalere egoismi individuali, perché, come ha detto Gandhi: «Sulla Terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi».
Nella definizione di «economia» i concetti di “danaro” e “finanziamenti” non sono presenti; eventualmente possono essere solo funzionali all’arte di rispondere al meglio ai bisogni di ciascuno e tutti i membri della comunità umana.
Fermare i saccheggi
Economia ed ecologia sono aspetti di un’unica realtà. Il saccheggio, infatti, distrugge sia l’economia, sia l’ecologia. Quando andiamo alle pagine di economia dei quotidiani, da due secoli a questa parte leggiamo sempre di più i numeri del saccheggio dell’ecologia e dell’economia. Anche quando sindaci invitano i cosiddetti “portatori di interessi” a farsi avanti con proposte di investimento, quasi mai si presentano portatori di interessi comuni; e quasi sempre, semmai, si presentano investitori negli interessi propri.
Lo confermano le loro richieste di cementificare i terreni agricoli, ingrandire edifici e attività industriali o commerciali esistenti, costruire altri condomini, cioè proseguire il saccheggio per aumentare il danaro, secondo un’ideologia finanziaria di accumulazione che soppianta l’economia in senso proprio, e distrugge l’ecologia. E questo viene considerato un bene.
Il richiamo della foresta
Tutto e tutti dipendono dal danaro, dai bilanci. Per migliaia di anni nella foresta amazzonica è esistita un’economia senza denaro, sposata all’ecologia non solo amazzonica, ma del mondo intero. Oggi, il taglio degli alberi per danaro sta distruggendo l’economia e l’ecologia: potremmo lamentarcene, se vietassimo l’importazione di legname dal Brasile…
Si potrebbe dire che questa trasformazione in denaro della natura e dei beni comuni, questo continuo contare le persone e quindi anche le cose, condannato nel Vecchio Testamento in occasione del censimento di David (2 Sam 24), sia l’ultima espressione distruttiva del guardare all’universo in modo oggettivo, astratto, funzionale, sotto forma di numeri – l’opposto della visione di Dante che lo ha rappresentato nella Commedia come un insieme ordinato di espressioni e significati capaci di condurre l’essere umano alla sua ragion d’essere.
Come risultato della riduzione della Creazione a denaro, cancellando l’avviso evangelico («Non potete servire a Dio e a Mammona» (Mt 6, 24), la distruzione è arrivata a un livello tale che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu, cioè il comitato internazionale di scienziati che da decenni osserva la situazione della Terra, ha certificato che da tre milioni di anni i livelli di ossido di carbonio nell’atmosfera non sono mai stati così alti e, senza ormai dubbi, solo a causa delle attività industriali.
Ecologia è partecipazione
Il saccheggio è una macchina finanziaria così potente da sembrare inarrestabile. Per ipotesi, se emergesse una volontà politica diffusa nei vari strati sociali a formare una comunità di studiosi, insegnanti, funzionari, operatori e popolazione in generale, con uno spirito volontario, altruista, solidale, trasversale alle famiglie ideologiche del passato e con molta determinazione su programmi concreti e consapevoli, invertirebbe questo percorso.
Si potrebbe influenzare in modo sistematico e puntuale le istituzioni, a cominciare dalle più vicine, per arrivare a colpire quelle che, dal convegno di Stoccolma nel 1972 a oggi, non sono riuscite a decidere nulla. Sempre più evidente è la necessità di cambiare paradigma economico. L’espressione “transizione ecologica” ha dato nome a un ministero, ma «transizione» significa passare da una condizione a un’altra: sappiamo dove siamo, ma deve essere chiaro dove dobbiamo andare. O si resta dove si è.
Si tratta di passare da un meccanismo di saccheggio dell’ecologia e dell’economia, dovuto alla trasformazione dei beni comuni in interessi monetari e della realtà in denaro – che costituisce un’immensa degenerazione culturale e civile, moltiplicata dai progressi delle tecnologie -, per andare verso un’economia fondata sulla passione per la fertilità della biosfera, simbiosi fra umanità e natura.
Attività primarie
Una transizione di questa portata, sottoposta alle categorie classiche dei testi di economia, induce riflessioni elementari. Se l’attuale sistema di saccheggio si basa e si diffonde soprattutto per merito delle attività terziarie, quaternarie e virtuali, che privilegiano gli interessi da usura ottenibili soprattutto con attività estrattive e di commercio semi-monopolistico, cioè di trasformazione/sostituzione della realtà biologica in tecnologica – il rinascimento dell’economia e dell’ecologia non può che basarsi sulle attività primarie, sulla riduzione della dimensione dei mercati e sulla progressiva e parziale sostituzione di alcuni scambi in denaro.
Che cosa sono le attività primarie se non il rapporto diretto fra l’umanità e la biosfera, per rispondere nel modo migliore ai propri bisogni legittimi senza danneggiare anzi contribuendo ai bisogni altrui, fra cui è compresa ogni forma di vita? Dalla conoscenza fisica e diretta con le cose, dalla cultura orale, è nata la lingua e le arti in cui il nostro popolo eccelleva anche come gioia di vivere. I cinque sensi non vengono nutriti, ma depressi dalla sostituzione digitale obbligatoria.
Caccia per necessità
Le attività primarie sono la coltivazione e moltiplicazione delle piante, la raccolta, la caccia non come sport, ma per necessità, i boschi, la gestione delle acque, la pesca. Ma queste attività sono state in buona parte colonizzate, specie nei terreni migliori, dall’industria – sia nella dimensione dei campi coltivati con le grandi macchine e le monocolture, che nella dipendenza dalle estrazioni minerarie come il petrolio, cioè dal sottosuolo e dalle tecnologie: non sono più attività primarie.
Non si tratta di fare del moralismo ideologico, ma di chiamare le cose col loro nome, dopo di che vedremo con quale gradualità e per quali vie ci arriveremo. Le attività primarie sono tali quando sono autonome, cioè dipendono esclusivamente da energie rinnovabili sul posto, dall’artigianalità umana, fanno crescere la fertilità e la biodiversità, potenziando al massimo la fotosintesi clorofilliana.
Artigianalità innanzitutto
Esistono varie scuole di agricoltura che, ciascuna a suo modo, si collocano entro i cicli naturali e negli obbiettivi della transizione ecologica. Sono tutte nate dopo l’industrializzazione agricola e per non incorrere negli stessi danni, ma tutte hanno bisogno dell’artigianalità umana e forniscono qualità alimentari di cui sempre più si riconosce il valore essenziale per la salute. In ordine di nascita, scuole che mirano all’agro-ecologia nel senso sopra descritto sono: la biodinamica di Rudolf Steiner (1924), l’agricoltura forestale di Joseph Russell Smith (1929), l’agricoltura biologica inglese di Albert Howard (1940), l’agricoltura bio-organica di Hans Müller e di Hans Peter Rusch (1947), l’agrobiologia francese di Lemaire-Boucher (1971), l’agricoltura naturale di Masanobu Fukuoka (1975), la Permacultura di Bill Mollison e David Holmgren (1978), l’Agricoltura Sinergica di Emilia Hazelip (anni ’80-’90 del secolo scorso), l’Agricoltura Sintropica di Ernst Götsch (1995). Ma questa lista non le esaurisce, perché altre sono nate come adattamenti dell’una o dell’altra o su singoli aspetti – come la selezione e adattamento delle piante alimentari e forestali ai cambiamenti climatici.
Non esiste transizione ecologica, se non investe la maggior parte dei suoi sforzi economici, scientifici e di solidarietà nella rigenerazione del territorio agricolo e forestale di cui i borghi abbandonati o in grave spopolamento sono i centri direzionali strategici.
Mercati locali, città vicine
Una delle differenze fra l’agro-industria e l’agro-ecologia è che la seconda non mira esclusivamente a far denaro, non produce quelle che in inglese si chiamano cash-crops, appunto: “colture da danaro”. Essa intende piuttosto far fiorire un’economia variegata, far rinascere luoghi di vita per persone di ogni età, far sbocciare attività le più diverse e complementari con cui recuperare una sinergia ecologica – un’economia nella quale la vendita per denaro ai mercati locali e nelle città vicine sia personalizzata, umanizzata.
I borghi abbandonati sono stati costruiti in genere in luoghi congeniali alla natura, in epoche in cui non ci si poteva fondare sulla tecnologia per infischiarsene degli agenti naturali, del sole, del vento, delle piogge, e portano evidente il segno della mano umana, con piani urbani congeniali a persone con due gambe, cioè senza macchine. Sono spazi ideali per adeguarli a un nuovo paradigma economico, energetico e di vita conviviale in tutti i campi: dalla scuola all’assistenza, alla produzione alimentare, all’artigianato di bottega.
Leggi nocive
A proposito di quest’ultimo, che è uno spazio culturale e materiale di immensa importanza per il nostro paese: quanti artigiani di bottega, non difesi da nessuno, nemmeno dalle loro organizzazioni sindacali – che hanno l’ideologia delle piccole industrie e dei bilanci maggiori possibile – hanno dovuto chiudere per le tasse e le difficoltà burocratiche causate da leggi pensate da incompetenti, se non apposta per colpirli, con un danno economico, culturale e di vivibilità umana immenso per il nostro Paese?
Quando si vuole dare a un territorio o a un’attività economica la massima vitalità, il primo passo è liberarla da tasse e obblighi burocratici, elaborando regole per analfabeti, cioè per una civiltà orale, tutte a carico degli impiegati pubblici ed enormemente semplificate. Sia chi lavora nell’agro-ecologia che nell’artigianato manuale di bottega ha un pensiero che non può passare nello schiacciasassi di complicati articoli di leggi sempre in cambiamento.
Riaprire ciò che è chiuso
Occorre far rinascere le regole che hanno consentito la libertà per centinaia di anni. Tutti gli artigiani di bottega che in ogni campo, dal restauro in su, hanno chiuso negli ultimi 30 anni, dovrebbero poter riaprire nei borghi: senza tasse, senza burocrazie, con apprendistato libero e assicurazioni coperte dallo stato o dalle regioni. Va aperto un catasto dei territori in transizione ecologica con un governo locale rivolto ai beni comuni.
Apprendistato
Il secondo passo è fare di quel territorio una scuola dell’“imparar facendo”: l’agro-ecologia, la bio-architettura, l’uso di energie rinnovabil, procedendo verso la liberazione totale dagli inquinamenti in ogni campo sotto la guida degli insegnanti più all’avanguardia. Una scuola del genere, in un’emergenza epocale come quella in cui siamo entrati può essere sostenuta da Ong, da associazioni di volontariato e da redditi di contadinanza finalizzati alle attività di transizione ecologica.
Le giovani generazioni devono entusiasmarsi per la rinascita del paese e possono farlo solo se sono coinvolte direttamente, manualmente nelle opere. Un servizio civile obbligatorio, una partecipazione di ogni scuola almeno una settimana l’anno a campi di lavoro nei territori di liberazione ecologica e nei borghi, sono essenziali ad attivare intelligenze, creatività, invenzioni, ricerche, che daranno frutti imprevedibili. La situazione attuale può essere rappresentata simbolicamente dai gruppi di giovani che devastano le spiagge d’estate o puntano a far soldi nel minor tempo possibile, curando solo interessi individuali.
Un peso politico
L’accoglienza come studenti, con forme di pre-salario, di persone di etnie omogenee in fuga da guerre, disastri ecologici, persecuzioni, mette a disposizione personale in grado non solo di imparare, ma anche con una manualità adatta a reinterpretare questi luoghi mescolando le nuove tecniche con le antiche. Assisterli e ricevere la loro collaborazione potrebbe aiutare anche a prepararli per un futuro ritorno a casa loro con competenze nuove, adatte a liberare col nostro aiuto anche l’ecologia dei loro territori. Quello che oggi molti considerano un ostacolo potrebbe assumere, con persone preparate anche alla nostra cultura e tenute aggiornate sui fatti delle loro terre, un peso politico inimmaginabile oggi.
Un programma simile, che ora sembra un sogno, è finalizzato alla sopravvivenza e al rinascimento della nostra civiltà, ma non può essere delegato né ai partiti o alle istituzioni, né alla tecnologia. Queste realtà possono mettersi al suo servizio solo se si formano dei comitati permanenti di liberazione ecologica in grado di premere sulle istituzioni in questa direzione al di là dei diversi appuntamenti elettorali. Allora i borghi abbandonati, invece che mucchi di pietre scartate, diverrebbero il primo territorio strategico di liberazione per poi arrivare anche alle grandi città. Da periferia del disastro ecologico a centro del mondo.
Per saperne di più
Fukuoka Masanobu, Natural Agriculture: Theory and Practice for a Green Philosophy, Guy Trédaniel Éditeur, 1989 [prima ed.,1975].
––– La Rivoluzione del filo di paglia. Un’introduzione all’agricoltura naturale, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2010.
Götsch Ernst, Break-through in agriculture, AS-PTA, Rio de Janeiro 1995.
Hazelip Emilia, Agricoltura sinergica. Le origini, l’esperienza, la pratica, Terra Nuova, Firenze 2014.
Howard Albert, Le Testament Agricole. Life and Action Edition, Oxford University Press, London 1940, edito online http://www.journeytoforever.org/farm_library/howardAT/ATtoc.html
Mollison Bill, Holmgren David, Permaculture one. A perennial agricultural system for human settlements, Transworld, London 1978.
Selg Peter, Koberwitz, Pentecoste 1924. Rudolf Steiner e il corso sull’agricoltura, Aedel, Torino 2012.
Smith Joseph Russell, Tree Crops: A Permanent Agriculture, Harcourt, Brace & Company, New York 1929.
Condivido in buona parte quanto scritto da Pucci. In particolare mi pare interessante l’idea di una “partecipazione di ogni scuola almeno una settimana l’anno a campi di lavoro nei territori di liberazione ecologica e nei borghi.” Va però evidenziato anche il problema angosciante e allarmante della sovrappopolazione mondiale che va fermata con politiche di controllo demografico senza delle quali non di potrà passare ad una cera conversione ecologica
Il reset è loro lavoro da secoli.
Non serve angosciarsi.