Freddo, distaccato, altero, l’ammiraglio russo Aleksandr Kolcak ispirava rispetto, lealtà. Esperto di guerre, avendo partecipato a molte, era onesto e con un forte senso dell’onore. E’ senz’altro una delle figure più interessanti della guerra civile che scoppiò in Russia nel 1917. Fu nominato sovrano di tutta la Russia e guidò l’esercito bianco contro i bolscevichi. Allo scoppio della rivoluzione, era in Giappone. Tornò subito in Russia, passando dalla Manciuria e, saputo della resa e della rivoluzione bolscevica in atto, chiese al governo britannico di arruolarsi nell’esercito (“anche come soldato semplice”) per continuare a combattere contro la Germania, visto che la sua patria si era ritirata dalla prima guerra mondiale, e lui intendeva proseguire nell’impegno di combattere contro il nemico. La Gran Bretagna accettò la sua richiesta e dopo aver tentennato un po’ nell’assegnazione, fu destinato in Mesopotamia (l’attuale Iraq). Kolcak mordeva il freno perché voleva combattere contro la Germania. Ma in un secondo tempo, l’opzione Mesopotamia fu accantonata e la Gran Bretagna decise di impiegarlo, data la sua esperienza militare, in Russia per contrastare i bolscevichi, rovesciare il loro governo e riportare nella prima guerra mondiale la Russia. Kolcak non fu soddisfatto di questa scelta ma accettò e raggiunse Omsk, in Siberia, dove si era formata una Legione di Volontari e accettò di essere nominato ministro del governo regionale della Siberia. All’inizio, l’esercito bianco, antibolscevico, comandato dall’ammiraglio (che demandò alcune iniziative a generali di sua fiducia) riscosse una serie di successi. Era capo della regione con pieni poteri dittatoriali. Dalla sua parte c’era la potente Legione ceca, il governo britannico e una divisione di soldati polacchi. La situazione fu stazionaria per un po’ di tempo per poi degenerare: i cechi, comandati da un generale francese, abbandonarono Kolcak, perché considerato “uomo del governo britannico”, i polacchi si ritirarono, i bolscevichi inviarono nell’area del conflitto forze fresche. Così, nel 1919 l’Armata rossa cominciò a guadagnare terreno infliggendo pesanti perdite all’esercito bianco. La situazione precipitò quando avvenne un colpo di stato nella regione comandata da Kolcak. I nemici interni capovolsero la situazione e a quel punto anche la Gran Bretagna abbandonò l’ammiraglio. Nel dicembre del 1919 Irkutsk, roccaforte dell’esercito bianco, cadde e i bolscevichi presero il potere. L’ammiraglio passò la carica di dittatore al generale Denikin, i cechi presero in consegna Kolcak e lo affidarono non al comando britannico, come da impegni presi, ma a un comitato bolscevico. Il resto dell’armata bianca fu travolto. L’ammiraglio, dopo un interrogatorio sommario di una commissione bolscevica, fu condannato alla fucilazione e il 7 febbraio del 1920 fu eseguita la condanna. Al fianco dell’ammiraglio fu fucilato anche il primo ministro Viktor Pepeljaev.
Di questo personaggio interessante e affascinante è uscito un profilo biografico di Peter Fleming (1907 – 1971), scrittore, giornalista e avventuriero di successo, insignito dell’onorificenza dell’Impero dell’Ordine britannico. Famoso soprattutto per essere il fratello del più noto Ian Fleming, l’inventore di 007 e per aver sposato, nel 1935, l’allora celebre attrice Celia Johnson. La benemerita casa editrice Medhelan, di Milano, ha pubblicato uno dei migliori libri di Fleming, Il destino dell’ammiraglio Kolcak. Una biografia ragionata del militare.
In questo romanzo storico Fleming cerca di decifrare la personalità di Kolcak ma non offre una biografia completa dell’ammiraglio, né un quadro ampio della rivoluzione russa, e neppure i dettagli dell’intervento nella Russia orientale. Descrive l’agire di questo strano condottiero nei suoi ultimi due anni di vita. Fleming narra piuttosto le emergenze, le difficoltà, il sovrapporsi di decisioni da prendere in poco tempo e le scelte che doveva affrontare come capo dei russi bianchi. E’ un affresco di una guerra particolarmente violenta e senza quartiere come solo le guerre civili possono essere. Si susseguivano continuamente gli scontri fra gli eserciti dei bianchi zaristi e dei rossi bolscevichi nella Russia devastata dalla rivoluzione. Fleming, a sua volta, essendo un buon conoscitore di tutti gli angoli della Russia orientale, potè descrivere con precisione, in questo libro uscito in Inghilterra nel 1963, gli scenari nei quali la storia prendeva forma, narrando i destini dell’esercito controrivoluzionario fino alla sua sconfitta. Con una scrittura piana Fleming in breve restituisce la personalità del comandante coinvolto in quella che sembrava, all’inizio, una semplice rivolta. Infatti, tutto cominciò con una rissa fra soldati nello scalo ferroviario di Chelyabinsk il 14 maggio del 1918 e finì il 7 febbraio del 1920 a Irkutsk con una raffica di un plotone di esecuzione e il corpo di Kolcak gettato in acqua, attraverso un buco praticato nella distesa ghiacciata del fiume Ushakovka. Fleming spiega che il compito di questo libro era di stabilire nel modo più accurato possibile le circostanza del fallimento di Kolcak, del suo tradimento e della sua morte. E’ la storia della lotta contro il destino, un destino più amaro del possibile, per lui che si era fidato di uomini indegni, finito a vivere costrizioni umilianti una volta catturato, proprio lui, signore della guerra e pluridecorato, chiuso come un cane in un vagone ferroviario, al freddo, esposto al ludibrio e costretto a subire soprusi. Talvolta la morte è solo una liberazione.
Peter Fleming, Il destino dell’ammiraglio Kolcak, Medhelan, pagg. 300, euro 26,00
I bianchi non erano tutti zaristi. E il libro di Fleming non poteva tenere conto di altre fonti archivistiche e memorialistiche russe, spesso venute fuori dopo la fine dell’Unione Sovietica.