L’identità europea, secondo Guardini, è fortemente e decisamente segnata dal cristianesimo. L’avvento e la diffusione del cristianesimo nel continente europeo avrebbero non solo “salvato” la cultura e ciò che rimaneva del mondo classico, bensì avrebbero integrato e dato nuova luce e nuovo significato ai valori essenziali della classicità. Il mondo greco e romano, nei fondamenti essenziali della loro civiltà, avrebbe trovato, in un certo senso, nuova linfa vitale nel cristianesimo. Egli scrive in L’Europa e Gesù Cristo: «…in verità la storia occidentale forma un grande contesto, in cui il cristianesimo, grazie al suo diritto intrinseco, ha preso possesso dell’eredità del mondo antico. L’antichità fu per Cristo e il suo Regno, come ben vide Dante, sorella della natura; questa e quella furono accolte nell’ordine della grazia, e sorse l’Occidente, l’Europa.»
Cosa avrebbe aggiunto di suo il cristianesimo all’antropologia “naturale” scaturente dal mondo antico e dalla classicità? Cristo ha liberato l’uomo “proveniente” dal mondo classico e pagano da una sorta di schiavitù che lo teneva legato e dipendente dalla natura, dalla decisione, talvolta capricciosa ed arbitraria, di qualche dio pagano o dalla tirannia del Fato. Cristo ha rivelato all’uomo la dignità della persona e il fondamento del suo “potere”: il libero arbitrio. Il passaggio da un’antropologia caratterizzata da dipendenza e determinismo ad una nuova umanità, il cui tratto caratteristico è una “sovranità verso il mondo”, non sarebbe stato possibile senza l’avvento e la diffusione sul vecchio continente del messaggio cristiano e quindi senza Cristo stesso.
«Nessuno parlerà della vita antica altrimenti che con ammirazione; ciò nonostante, le sue più potenti creazioni e i suoi più profondi moti dell’anima tradiscono una certa freddezza e un mancato dispiegamento. L’uomo dell’epoca cristiana ha, di fronte all’uomo antico, una dimensione dello spirito e dell’anima in più; una capacità di sentire, una creatività del cuore e una forza di soffrire, che non procedono da talento naturale, ma dalla consuetudine con Cristo. Ne segue inoltre: la maggiore libertà per il bene come per il male. Il cristianesimo ha elevato l’uomo ad un piano di capacità d’azione, in cui, se diventa buono, è migliore del pagano, ma, se diventa malvagio, è peggiore di lui».
Ma è proprio questa più profonda e potente capacità di fare il bene o il male che espone l’uomo europeo ad un rischio, oggi purtroppo trasformato in un pericolo serio e in un processo di declino. Quella indipendenza che l’europeo, in virtù del cristianesimo, avrebbe guadagnato dalla natura con una prospettiva di dominio sul mondo lo espone anche alla tentazione di trasformare questo dominio e questo potere in una dimensione assolutizzante e morbosa, svincolata dalla sovranità che sull’uomo esercita Dio che questo stesso potere gli ha conferito per farne buon uso.
Scrive ancora Guardini: «Nulla è più falso dell’opinione che il dominio moderno sul mondo nella conoscenza e nella tecnica abbia dovuto esser raggiunto lottando in contraddizione al cristianesimo, che voleva tenere l’uomo in inerte soggezione. È vero il contrario: l’enorme rischio della scienza e della tecnica moderna, la cui portata avvertiamo dopo le ultime scoperte con profonda inquietudine (siamo appena nel 1946 n.d.r.), è diventata possibile solo sul fondamento di quell’indipendenza personale, che Cristo ha dato all’uomo.»
J.R.R. Tolkien ha ben simboleggiato tale prospettiva che minacciava la “Terra di Mezzo”, topos simbolico al quale è certamente possibile riferire l’Europa, nella lotta tra Saruman(convertitosi alla potenza assoluta della tecnica) e Gandalf che aiuta invece la compagnia guidata da Aragorn (metafora della varietà dei popoli e delle nazioni europee) a distruggere l’anello del potere, il cui uso rende sempre più morboso il desiderio di possesso e di potenza di chi ne è solo semplice e temporaneo custode.
Del resto Guardini scriveva queste sue riflessioni in un’epoca in cui le intelligenze europee erano, o perlomeno apparivano, più sensibili di oggi rispetto a questi rischi, per quanto oggi essi evidenzierebbero con l’Intelligenza Artificiale un maggiore livello di gravità. Il pensiero di Guardini si è spesso confrontato con quello di Martin Heidegger, anche per aver frequentato forse le medesime aule universitarie e calcato i gradini degli stessi anfiteatri. Alcune considerazioni sulla tecnica e sul potere della tecnica del filosofo esistenzialista tedesco ci riconducono ai timori espressi da Guardini.
Scriveva nel 1953 Martin Heidegger: «Il pericolo non è la tecnica. Non c’è nulla di demoniaco nella tecnica; c’è bensì il mistero della sua essenza. L’essenza della tecnica, in quanto è un destino del disvelamento, è il pericolo. […]. La minaccia per l’uomo non viene anzitutto dalle macchine e dagli apparati tecnici, che possono anche avere effetti mortali. La minaccia vera ha già raggiunto l’uomo nella sua essenza». Nella parabola tolkeniana del Signore degli Anelli, il pericolo non è l’anello in sé. Tutto sommato né Bilbo, né Frodo ne sono schiavi irrimediabilmente asserviti e riescono a “dominare” la pulsione a farne uso ed abuso. Il pericolo vero viene dall’intima interiorità del loro essere quando questa si piega e si arrende al fascino di esercitare con esso un potere incondizionato sul mondo con l’esito paradossale che essi stessi ne potrebbero rimanere schiavi ed asserviti.
A Guardini è ben presente le tesi heideggeriana per cui il pericolo non sarebbe nella tecnica ma nel come l’uomo ad essa si approccia: «Mentre l’uomo prende sempre più in suo dominio la natura, egli trasporta nel campo della libertà le energie che nel regno inanimato sono legate da leggi razionali, presso gli animali s’inalveano negli ordinamenti delle loro funzioni vitali. Ma ciò significa che egli le sottomette ad un principio che fondamentalmente non è calcolabile. Ancor più, anzi: a un principio, in cui influisce tutto ciò che si dice cuore umano – nel senso ampio che ha in un Agostino o Pascal. Il mondo intero viene qui sotto un’istanza, della quale è impossibile dire come ne disporrà».
Questa è la “patologia dello spirito” che affligge oggi l’Europa e ne sta producendo, anzi accelerando, il declino e la crisi. Heidegger affermava apoditticamente, ma forse anche pessimisticamente, «solo un Dio ci può salvare». Guardini ritiene che il compito affidato all’Europa sia quello di una sostanziale critica della potenza e di un suo oculato e responsabile governo: «Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica -benché naturalmente farà anche questo – ma nel domare questa potenza.»
Paradossalmente potremmo dire che Guardini concorda sull’asserzione di Heidegger, secondo cui, «solo un Dio potrà salvarci». Essa, nella forma storica e contingente dell’Unione Europea, ha deliberatamente rifiutato la sovranità di Cristo rinunciando a scrivere nella sua costituzione le radici cristiane della sua storia millenaria. Ma l’ancora di salvezza è proprio in quel Cristo, figlio di Dio e Dio egli stesso: «Se quindi l’Europa deve esistere ancora in avvenire, se il mondo deve aver bisogno dell’Europa, essa dovrà rimanere quella entità storica determinata dalla figura di Cristo, anzi, deve diventare, con una nuova serietà, ciò che essa è con la propria essenza. Se abbandona questo nucleo, ciò che ancora di essa rimane, non ha molto più da significare». Il compito dell’Europa è “domare la potenza”, il destino di salvezza passa da uno sguardo rivolto verso l’alto e l’Altro per eccellenza: Cristo.