Erano anni appassionati ed entusiasmanti. Erano gli anni di “Almirante Sindaco”. Con il Msi che in termini di consenso diventava un grande partito popolare, alla pari della Dc e del Pci. Oggi non si contano le volte in cui i leader ripetono che “ci mettono la faccia”, spesso senza farlo. Ecco, allora lo facevano senza dirlo. Il Consiglio comunale di quella Napoli era un vero parterre de rois: Almirante, Pannella, Valenzi, Chiaromonte, Galasso, Di Donato, Scotti, De Lorenzo. Ma tanti erano gli uomini che all’ombra di quella grande ventata di destra andavano crescendo e consolidandosi, a cominciare dai “quattro Antonio”: Cantalamessa, Mazzone, Parlato e Rastrelli, quest’ultimo indimenticato primo governatore eletto direttamente dai campani. E alle loro spalle già scaldavano i muscoli giovani promettenti come Jimmy Fragalà, oggi direttore del Secolo d’Italia, Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, il casertano Mario Landolfi , unico ministro campano di An, e il sannita Pasquale Viespoli, più volte sottosegretario e sindaco di Benevento. E poi Emiddio Novi, mio fraterno amico, grande giornalista e parlamentare. Una carrellata di nomi per rendere l’idea di come un tempo i partiti riuscissero a sfornare classi dirigenti.
Oggi, invece, siamo alla “pesca delle occasioni”. E spiace vedere che chi indugia di più in questa direzione è proprio il centrodestra che, proprio perché programmaticamente più coeso (almeno così sostengono i suoi leader), dovrebbe avere meno paura di tornare alla politica. Invece ha candidato un pm dopo il fallimento conclamato di un altro pm, Luigi de Magistris, alla guida di Napoli. Ne ero rimasto incuriosito anch’io, ma non ci ho messo molto a capire che l’attività politica non si improvvisa: prova ne siano, dopo una valanga di errori, la clamorosa bocciatura delle liste e il disastro delle Municipalità. Peccato, il centrodestra ha perso l’occasione per rinnovare il ruolo di Napoli come laboratorio politico come lo fu nei primi anni ‘80.
Il presente, infatti, ci regala un centrodestra rissoso, rabberciato e preoccupato solo della competizione interna alla stessa coalizione. In poche parole, c’è tutto tranne la politica. È il motivo per cui, non certo di buon grado, sto con tantissimi amici e cittadini, riflettendo su quel che resta da fare. Come uscire da questo cul-de-sac. Cosa fare per riaffermare, non dico il primato della politica, ma almeno la sua esistenza? Ogni giorno che passa mi vado convincendo che forse per raggiungere questo risultato bisogna fare una scelta radicale, irregolare, e rompere gli schemi.
Ma di costruire un serio progetto culturale per la capitale del Mediterraneo che vada ben oltre il campo trincerato degli apparati partitici. Più che mai oggi le città hanno bisogno di visione politica. E, tra i quattro contendenti in corsa a Napoli, ce l’ha solo Bassolino. Per qualcuno sarà difficile ammetterlo, ma così è. Forse sarà per questo che il personaggio mi incuriosisce. Sto parlando di un avversario politico al quale mai ho risparmiato critiche e attacchi, ma che mai ho considerato un nemico.
Vengo dalla scuola della civiltà del dialogo e del confronto che dovrebbe essere la prima regola se vogliamo far rientrare la politica dal suo esilio. Se Bassolino dovesse arrivare al ballottaggio – scenario possibile per come si sono messe le cose – la partita con Gaetano Manfredi si riaprirebbe alla grande. E i napoletani, alla fine, riescono sempre a sorprendere perché non temono di andare controcorrente.
*Da Il Riformista del 16.9.2021