In politica esistono dei momenti in cui tutto si chiarisce da sé. Ciò avviene quando strategia, tattica e principi vengono a collimare. E’ questo il caso delle ultime ore, della fine del governo giallo-rosso e dell’incarico a Mario Draghi. Che cosa rappresenta in termini di pura politica Mario Draghi? Lo ha dichiarato lui stesso: “Io sono un liberalsocialista”. Ossia, non tanto il nulla ideologico, quanto la ritmica respiratoria (contrazione – espansione – inspirazione – espirazione) del capitalismo.
Lo dice la storia dell’ex Governatore della Bce: “vile affarista” ai tempi del Britannia, quando c’era da raccogliere le reti dello smantellamento pubblico, attento detentore dei conti e della deflazione ai tempi del massacro greco e dell’equilibrismo liberista, salvatore dell’Europa, neokeynesiano, persino vicino a posizioni neocartaliste dopo la grande crisi del 2013, e sino ad oggi, soprattutto oggi, da candidato gestore del Ricovery Plan.
La storia è vecchia, il capitalismo funziona così: costi pubblici, profitti privati. La Destra dovrebbe saperlo bene, essendo nata ai primi del novecento per eliminare le asimmetrie fra capitale e lavoro. Ma che dovrebbe fare quindi, Fratelli d’Italia, l’erede di una tradizione politica fondamentalmente realista e popolare, e la Lega difronte ad un governo elitario che nasce per spendere in deficit (e non in sussidi) con l’intento di rilanciare la crescita? Le opzioni sembrano tre.
La rottura
La rottura: il Ricovery Plan è un salto nel vuoto. L’ennesima cambiale. Soldi in prestito. La copertura? Il nostro futuro. Chi capisce di finanza sa perfettamente che questo nuovo piano Marshall fra tre o quattro anni costerà carissimo alla collettività. Chi pensa che domani Mario Draghi imponga una patrimoniale, non ha probabilmente capito nulla. L’accelerazione di Mattarella, come il “colpo di Stato” di Giorgio Napolitano, ha come semplice finalità quella di “sospendere” il corso democratico: se è il sistema bancario a determinare i ritmi inflativi o deflativi delle economie e non i governi, la Destra dovrebbe portare domani in piazza un milione di persone, contestare il Presidente della Repubblica, invocare una dura fase costituente. Rievocare la supremazia della Politica sulla Finanza. In poche parole, denunciare e mettere alle corde il sistema. Vi pare uno scenario plausibile? No di certo. I tempi di Mani Pulite sono lontani.
L’opposizione liberale
La seconda opzione, l’opposizione thatcheriana: Giorgia Meloni potrebbe completare la transizione verso posizioni di mera retroguardia liberista. Stare all’opposizione, non costruire classe dirigente, osservare il paese ripartire denunciando dal suo Aventino di stampo conservatore l’enorme costo, in termini di disavanzo pubblico del Ricovery plan. Per poi sperare che, fra tre o quattro anni, finito l’innamoramento keynesiano delle élites, qualcuno non la incoroni Regina del pareggio di bilancio. Ma come raccontava un vecchio adagio, “nel lungo periodo rischiamo di essere tutti morti”. Voto di borgata compreso.
L’entrismo
La terza opzione, l’entrismo fiumano, rappresenterebbe la svolta più coraggiosa. Se Fratelli d’Italia cogliesse l’occasione di entrare al governo per gestire, con responsabilità, quella che a tutti gli effetti è l’ennesima scommessa sul futuro di questo Paese, di certo otterrebbe due grandi risultati. Il primo, sdoganarsi definitivamente e creare una più alta classe dirigente. Il secondo: dimostrare che una gestione politica e non tecnocratica dell’economia non solo è possibile, ma è necessaria per il mantenimento di un assetto democratico dell’Italia e in generale del modello occidentale, oggi palesemente in difficoltà difronte alle sfide orientali. Lasciare a Berlusconi e alla Lega questo ruolo significa non solo autoisolarsi politicamente: significa soprattutto escludere quel patrimonio di Programmazione, di Terza Via, di Partecipazione che, dall’esilio di Craxi in poi, non ha più potuto moderare e fermare le forze burocratizzanti del globalismo finanziario.
La verità sostanziale è che la politica italiana è stata , di fatto , commissariata. Renzi , pro domo sua, è stato un piccolo Covid che ha accelerato in maniera esponenziale il processo di decomposizione dei vecchi , o più recenti, schemi sui quali il nostro teatrino parlamentare si era retto sinora Mattarella , mai come l’altra sera, è stato chirurgicamente spietato nel mettere i partiti di fronte alla loro inettitudine . Forze di governo pietose , opposizioni che oltre al refrain ” al voto , al voto” nulla di alternativo avrebbero potuto o saputo proporre. Spietata chirurgia che ha portato all’inevitabile sbocco ( già programmato e organizzato) di una svolta ” tecnico finanziaria” per la gestione di un Paese senza guida alcuna . Io ho visto nella successione degli avvenimenti dell’ultimo periodo una stretta correlazione tra di loro. Elezione di Biden con la sua proclamata volontà di ” riannodare” i rapporti tra Usa ed Europa. Crisi di governo provocata da Renzi ( con motivazioni neanche tanto pretestuose) e suo viaggio sfacciatamente propagandato in Arabia Saudita ( grande alleato degli Usa ) nel pieno della crisi ed infischiandosene della polemiche provocate. Primo giro di consultazioni per cercare di riannodare non si sa bene cosa, ma utile per provocare il definitivo corto circuito e giustificare l’ intervento di un ” terzo” salvatore della situazione ( e vedremo tra un anno se anche della Patria).
Ora ai partiti non resta che cercare di saltare sulla nave pronta a salpare o rimanere sul molo con , più o meno, giustificabili pruriti di coerenza .
Sono gli italiani che sull’ orlo della disperazione sono pronti ad accettare qualsiasi soluzione loro proposta per cercare di sperare ancora . È del resto vezzo italico il salto sul carrozzone del vincente, ed è limite della nostra politica non avere progettualità e visione d’insieme . Carenze che non potevano che portare a quello che stiamo vedendo e subendo Rimarco , per misera consolazione, che se la “”destra” ha problemi di identità neanche gli altri si sentono molto bene.
Fa sorridere, ma neanche questa può essere una sorpresa, comunque come tutta la stampa abbia già santificato il nuovo Premier senza neanche avere intrapreso la procedura di canonizzazione
Parafrasando Bertolt Brecht beato il Paese che non ha bisogno di santi
A questo punto i tatticismi , le differenziazioni, il porre i veti che ogni singolo ” leader” proclama pensando di interpretare l’ alta politica è solo la sua più ridicola parodia Salire a bordo per certuni è solo fare i mozzi ( anche quelli servono) ma il timone è saldamente nelle mani di altri
‘Entrismo fiumano’? Sogno o son desto? Teatrino futurista, estetica da postribolo e gestione politica dell’economia: uscita dall’UE, dall’Euro, iperinflazione, risparmi azzerati, morti nelle strade ecc. Cioè la Germania del 1923…