Ed eccoci qui, costretti a raccontare l’ennesimo fallimento juventino in Champions League. La vecchia signora è ormai prigioniera da anni della sua stessa tradizione internazionale, una storia che pare impossibile da invertire. Ma stavolta non si tratta solo della sconfitta di una squadra, delle sue debolezze e peripezie, no, questa volta è in ballo l’intero movimento del calcio italiano.
La Juventus, unico baluardo del nostro calcio per un intero decennio, si è dovuta arrendere negli ultimi 3 anni ad Ajax, Lione e Porto, tre squadre che possiedono mezzi economici incredibilmente esigui se confrontati a quelli torinesi. È evidente che il gioco della nostra migliore squadra ha gravi lacune in campo internazionale, ove la velocità di esecuzione e l’intensità sono decisamente più importanti della staticità tattica e dell’ossessivo controllo. La carenza di dribbling in mezzo al campo è forse il più evidente sintomo del terrore imperante che cinge il nostro calcio. Unici fari nelle tenebre il giovane Chiesa e Cuadrado, proprio gli unici due spregiudicati. E non mi si dica che il motivo è una carenza tecnica quando quegli stessi giocatori accusati di esserne privi hanno avuto tutt’altra consistenza nella loro vita passata (Ramsey, Arthur, Alex Sandro, Rabiot). Ma ciò che più preoccupa è l’incommensurabile deserto alle spalle della stessa Juventus. La Lazio si accorge tutto a un tratto di non essere all’altezza, l’Inter cede sotto i colpi del Mönchengladbach (10º in Bundesliga) e l’Atalanta, sebbene unica oasi, si rivela troppo piccola per rinfrancare le nostre sofferenze. Se il modello da seguire è propria la squadra bergamasca, e ciò è ormai evidente a tutti, perché si consegnano le squadre più blasonate ad allenatori catenacciari e tremendamente rigidi? Ora, la serietà del discorso non può prescindere dal delineare il fine da perseguire. Se quest’ultimo è conquistare lo scudetto a qualsiasi costo, allora che si vada avanti così; ma se invece è tornare a competere in campo internazionale e far divertire il pubblico, è necessario un repentino quanto brusco cambio di rotta.
Non mi nascondo dietro un dito, Antonio Conte sta uccidendo il nostro campionato. Il suo gioco fatto di corsa e pullman difensivi poteva essere adeguato a quel calcio povero che abbiamo saggiato all’inizio dello scorso decennio, ma ora che i milioni non mancano e la qualità dei giocatori è nuovamente alta non si può continuare su questa strada cieca.
Pirlo è stato chiamato per questo, perché Allegri non ha convinto pur sfiorando l’Olimpo e Sarri, seppur maestro di calcio, non è stato capace di dimenticare la sua rozzezza. Pirlo, figlio prediletto di dea Fantasia avrebbe dovuto portare quest’ultima finalmente al potere, consegnando alla Juventus quell’estetica e quella gioia che ha perduto nel cinismo dei soli 3 punti. Non c’è riuscito. La partita di ieri ha rivelato ancora una volta le mostruosità che albergano nella filosofia calcistica nostrana. Un Porto costretto in 10 per un’ora, tecnicamente mediocre ed impaurito ha retto la botta grazie al sacrificio e alla sola esperienza di alcuni suoi uomini. Si può sbagliare una partita, ma due no. Il rigore ha spezzato le gambe, certo, ma la Juventus è stata incapace di creare gioco, continuando a smistare palloni da una parte all’altra quasi fosse una partita di Rugby ed infine lanciando ad occhi chiusi in area sperando in un errore di Pepe che non è mai arrivato.