Regionali. Tra Lega e Fratelli d’Italia lo scontro è a Sud

Ricognizione breve sui risultati elettorali degli ultimi anni (con una puntatina al 1995). Ogni partita è a sé ma quali sono le posizioni di partenza? E nel risiko entrano pure le Marche

Meloni e Salvini

La deriva lideristica della politica esprime tutta la caducità, eufemisticamente il senso di trasformazione continua degli equilibri di forza. E’ l’immagine stessa della ruota della fortuna, (non quella di Mike Bongiorno buon’anima, anche se troppo ci somiglia in certi casi…) ma il simbolo medievale del Sic transit gloria mundi.

La comunicazione crea traumi in continuazione, si costruiscono castelli in aria che agiscono sugli opposti sentimentalismi degli elettori italiani: una strategia che va per la maggiore in tutto il mondo, ottima  a scavare like ed estorcere voti, a pro di sondaggi. Adesso che un trauma vero lo abbiamo (forse) appena superato, tutto viene rimesso ancora in discussione. Alle corte: cosa è cambiato negli equilibri regionali del centrodestra dalle ultime Regionali? Si direbbe tutto, in realtà poco e nulla: Fratelli d’Italia e la Lega meridionale, nonostante le professioni di alleanza di facciata, si detestavano allora e mal si sopportano oggi.

Assenti in Campania, divisi in Puglia

Nel 2015 non c’era ancora Alberto da Giussano, al Sud si provò l’esperimento Noi con Salvini. In Campania, i leghisti non presentarono nemmeno la lista. Raffaele Volpi, all’epoca plenipotenziario per il Mezzogiorno, non lesinò strali a Stefano Caldoro, “reo” di non aver nemmeno cercato un’interlocuzione con il suo partito. “Si faccia l’alleanza con Ncd” (“Nuovo centrodestra”, ricordate la vecchia è già defunta sigla di Angelino Alfano?). Ci fu maretta perché Stefano Caldoro disse a Repubblica che a Napoli non si sarebbero viste felpe: “il Sud fa il Sud e la Lega pensa al Nord”.

Prima di scegliere la via dell’assenza, Noi con Salvini azzardò l’ipotesi di una corsa in solitaria che però, evidentemente, fu cestinata nonostante, come disse Volpi parlando ai giornalisti affinché Stefano Caldoro intendesse, potesse contare sul 5-7% delle intenzioni di voto nei sondaggi. Fratelli d’Italia, invece, si presentò regolarmente in campo, a sostegno del centrodestra del governatore uscente. Il risultato non fu per nulla malvagio, considerando le acque tormentose in cui all’epoca navigava la creatura di Meloni: poco meno di 125mila voti, due consiglieri eletti e il 5,5% (con punte del 10,2% nel Salernitano).

In Puglia, invece, Noi con Salvini presentò la sua lista. E lo fece in un altro schieramento rispetto a quello scelto da Fratelli d’Italia. I leghisti pugliesi, infatti, sostennero (con Forza Italia, Pli e una civica) la candidatura a presidente di Adriana Poli Bortone. I “fratellini” invece si schierarono con Francesco Schittulli, indicato direttamente dall’ex governatore Raffaele Fitto, insieme a due civiche personali (la prima di Schittulli e la seconda proprio di Fitto). Non fu un successo, né per i leghisti né per Fdi: nessuna delle due liste riuscì a eleggere i suoi candidati. Nel conto dei voti, però, andò leggermente meglio a Fratelli d’Italia: 39.164 voti contro 38.661, uno scarto di 503 preferenze. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti e si può certo dire che nessuno dei due partiti, né Fratelli d’Italia (con Fitto in prima persona) né la Lega (che ha eletto parlamentari in Puglia) si aspetta di non riuscire a superare la soglia del 3% dell’elettorato.

 

Quando la Lega ci provò nel ’95

A proposito di Regionali, può essere interessante notare – quantomeno dal punto di vista storico  – che, a differenza della vulgata generale, questa tornata non sarà la prima in cui gli elettori meridionali si ritroveranno sulla scheda elettorale il simbolo leghista. Accadde già nel 1995 quando, sotto il nome di Lega Italia Federale, il Carroccio propose Gennaro Nardi alla presidenza della Regione Campania. Quell’elezione fu stravinta da Antonio Rastrelli, divenuto governatore alla guida della coalizione formata da Forza Italia, Alleanza Nazionale e Ccd nonostante l’operazione di disturbo elettorale (non riuscita) messa in campo dalla Fiamma Tricolore che in Campania si presentò da sola schierando addirittura il suo segretario Pino Rauti. La Lega, in quell’occasione, prese lo 0,4%, il presidente ebbe più di 13mila voti, il simbolo non ne raccolse 9mila: per capirci, ne prese di più l’Unione di Centro che presentò una lista a supporto del candidato Radicale Mimmo Pinto.

Quell’anno si votò anche in Puglia e pure lì stravinse il centrodestra (Fi, An, Ccd più la lista Ambiente Club) eleggendo alla presidenza Salvatore Distaso. Anche in Puglia la Fiamma Tricolore (insieme con Azione Meridionale) tentò lo sgambetto, sostenendo la candidatura di Anselmo Ciuffoletti, fallendo. E pure lì gli elettori si ritrovarono l’opzione Lega Italia Federale. Ma quella volta, Alberto Da Giussano si trovò a sguainare la sua spada per metterla al servizio della compagine del centrosinistra. Insieme a Pds, Popolari, Rifondazione Comunista, Verdi, Socialdemocratici e Patto democratici, i leghisti sostennero la candidatura di Luigi Ferrara Mirenzi. Se possibile, la “performance” leghista in Puglia fu pure peggiore di quella campana: 6.841 preferenze, una miserrima percentuale dello 0,3% ne fece la lista meno votata in assoluto anche in Puglia.

Lo scatto alle politiche e la corsa alle Europee

Torniamo a noi. Alle politiche del 2018 non ci fu storia per nessuno, al Sud il M5s fece cappotto. La Lega però riuscì ad attestarsi su percentuali più o meno significative (tra il 5 e il 6,5%) mentre Fdi (con punte tra 3,5-5%) risultò più attardata. In Campania Salvini strappò un senatore e due deputati, uno in più di Fratelli d’Italia. In Puglia furono eletti due deputati e un senatore Lega, un solo deputato per Meloni. A Napoli, però, la proposta di Salvini non ha attecchito: nel capoluogo campano Fdi divenne la seconda forza del centrodestra.

I conti alle Europee dello scorso anno sono presto fatti: in Puglia stravinse il confronto la Lega con oltre 403mila voti a fronte dei poco meno di 142mila ottenuti da Fratelli d’Italia. Lo scontro tra i leader sembrerebbe impietoso: Salvini, da solo, ebbe quasi i voti di FdI (114.121) mentre Giorgia Meloni si difese con oltre 55mila preferenze. Più o meno sugli stessi numeri si è giocato il confronto in Campania dove la Lega raccolse poco meno di 420mila voti (19,2%) mentre Fratelli d’Italia, si fermò a 127.211, giungendo al 5,8%. Confermato anche il divario tra i leader: a Salvini 115mila preferenze, a Meloni poco più di 40mila. Ma, in Campania, c’è un dato da non sottovalutare: a Napoli, Salvini e la Lega non hanno sfondato, surclassati da M5s e Pd. Né in Campania, né in Puglia, i leghisti sono riusciti a scalzare il primato del Movimento 5 stelle.

 

I conti si fanno alla fine: Forza Italia (e le Marche…)

Allo stato attuale, senza nemmeno avere la consolazione dell’ufficialità per i candidati in campo, è difficile fare previsioni. Non è mica un mistero che Giorgia Meloni stia rapidamente recuperando consensi proprio mentre a Matteo Salvini serve una vittoria simbolica, dopo tanto pane duro mandato giù tra Palazzo Chigi (con le spallate fallite) e l’Emilia Romagna (con la corsa stoppata della Bergonzoni contro sardine e Bonaccini). Forse è per questo se i bene informati ritengono che tutto il giocare sulle candidature al Sud non sia altro che un modo per ottenere il “presidente” nelle Marche. Regione piccola, senza dubbio: ma rossa, rossissima e, per la prima volta, sicuramente in bilico. Gli accordi di coalizione impongono un candidato di Fratelli d’Italia lì, Francesco Acquaroli, la cui candidatura era data per certa e baciata dai sondaggi. Ma negli ultimi giorni la Lega avrebbe accarezzato il sogno di presentare il sindaco di Jesi, Massimo Bacci, a presidente della Regione. Se la spuntasse il centrodestra, chiunque vincerà lì potrà fregiarsi di aver espugnato un feudo della sinistra italiana.

C’è poi una variabile e che riguarda Forza Italia: se in Campania il partito in consiglio regionale parrebbe in rotta (ha perso anche un’altra consigliera, Flora Beneduce, passata armi e bagagli in Italia Viva e con De Luca) FI detiene comunque un importante quota di consenso elettorale. Al centro si gioca la battaglia, come sempre. E al di là degli ex democristiani, il Partito democratico si è mosso bene presidiando l’area moderata. In questo momento, in cui prevale il voto di opinione e l’attaccamento ai simboli, quello di Forza Italia rappresenta una vera e propria incognita, insondabile. Forse proprio gli azzurri, che una volta sognavano di poter raggiungere da soli la maggioranza relativa e governare senza dover rendere conto agli alleati e che adesso hanno visto ridotte le loro ambizioni elettorali, sono il simbolo migliore della politica attuale. E un monito per tutti: la ruota gira, sic transit gloria mundi…

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Giovanni Vasso

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