L’intervista. Sansoni: “Dalla riscoperta delle identità (ri)nasce l’Europa”

Poca progettualità, poche responsabilità. Ma, oltre le formule politiche, l’Europa può rinascere se verrà data forma compiuta al risveglio delle identità del Vecchio Continente. Ne è convinto Alessandro Sansoni, giornalista e direttore di #CulturaIdentità.  

 

Il 26 maggio si voterà per il rinnovo del parlamento europeo. Si tratterà di una data capace di far da spartiacque nella storia delle istituzioni comunitarie?

La propaganda politica tende a rappresentarla così, ma francamente ne dubito. Per due motivi: non è la composizione del Parlamento Europeo che determina gli assetti comunitari; sono semmai gli orientamenti dei governi degli Stati Nazionali che la compongono a giocare un ruolo decisivo in questo senso. Inoltre, è molto difficile che si verifichi una significativa alterazione dei rapporti di forza parlamentari, al punto tale da far saltare la tradizionale alleanza PPE–PSE. Al massimo, il crollo dei socialisti potrebbe determinare la necessità di coinvolgere i liberali, il che non sarebbe esattamente ciò che si aspetta chi ritiene che l’Unione Europea così com’è non vada bene. Certo i gruppi, che per comodità chiamiamo “sovranisti”, potrebbero avere una crescita significativa, che potrebbe avere effettivamente un peso, ma solo a patto che si configuri davvero una piattaforma programmatica comune, un’idea comune di Europa tra i partiti che compongono questi gruppi. Un traguardo possibile, ma non proprio alla portata immediata, temo.

 

Le notizie, in particolare quelle che arrivano dalla Francia, sembrano dare in ascesa i sovranisti. È davvero possibile credere nel “sorpasso” e nella possibilità che possano lavorare insieme in un’unica (eventuale) maggioranza?

Troppo spesso ci si dimentica che l’attuale Unione non è più quella composta dai sei paesi fondatori e quindi si tende a sopravvalutare le dinamiche politiche di nazioni quali Germania, Francia e Italia. Abbiamo a che fare con 28 Stati (perché la Gran Bretagna è ancora lì) e una distribuzione dei seggi ai vari Stati che non è esattamente proporzionale alle loro dimensioni demografiche (si pensi alla piccola Malta che esprime ben 6 parlamentari a fronte dei 73 provenienti da un grande paese come l’Italia). Insomma ci sono ragioni “tecniche” che rendono difficili “sorpassi” e cambiamenti sostanziali. Questo non significa che non sia importante provarci…

 

Al di là dei dati elettorali, in gioco c’è la visione dell’Europa. Quali sono le forze in ballo, al di là delle sigle politiche e quale l’immagine che hanno di quel che dovrà essere l’Ue?

L’impressione è che in giro non siano poi in molti ad avere un’idea precisa di quello che debba essere il futuro dell’Unione Europea. Forse gli unici ad avere un progetto sono gli esponenti di Più Europa, che propendono per un’Europa tecnocratica, federale in senso spinelliano, allargata, laicista e multietnica.

Le altre famiglie politiche navigano un po’ a vista.

E’ il caso dei Popolari nelle loro articolazioni occidentali che, come la Merkel, preferiscono andare avanti per inerzia,salvaguardando l’ortodossia dell’austerity e la retorica europeista, ma senza riuscire a mettere in campo un progetto di rilancio dell’UE, nemmeno qualcosa che recuperi le aspirazioni dei padri democristiani delle origini (Adenauer, De Gasperi, Schumann). A rendere tutto più difficile è la consapevolezza che i partiti afferenti al PPE dei paesi dell’Europa Orientale, spesso non possiedono il medesimo afflato europeista, soprattutto sotto l’aspetto politico, e apprezzano semmai esclusivamente le opportunità offerte dalla libera circolazione di merci e capitali. Senza contare le diffidenze generate dalla politica lassista nei confronti dei flussi migratori voluta dalla Merkel.

I socialisti, dal canto loro, sembrano i più spaesati di tutti, con la loro adesione ai dettami dell’ideologia liberal e radical chic, che impedisce loro di escogitare una piattaforma davvero capace di rilanciare e riprogrammare il famoso “modello sociale europeo”: è evidente che le battaglie per i cosiddetti diritti civili e a favore dell’accoglienza indiscriminata dei migranti occupa interamente le loro energie… anche a discapito del consenso.

Una seria capacità di innovazione programmatica potrebbe venire solo dalle forze “sovraniste”, ma anche qui sembra che le idee siano poche e anche abbastanza confuse: cosa significa la formula Europa dei Popoli e/o delle Nazioni? Non è chiaro. Parliamo di una confederazione più o meno stretta sul modello gollista o di un nuovo ordinamento europeo che abbia a modello la Confederazione elvetica? Qual è la posizione rispetto all’ipotesi di un unico debito pubblico europeo e di una più stretta unione fiscale e bancaria, presupposto di uno strumento come gli eurobond? Si vuole o meno una difesa comune europea? Di fatto il problema è che il mondo sovranista non ha sciolto il nodo fondamentale: se la sovranità reclamata debba essere funzionale alla costruzione di un’Europa sovrana o al ritorno delle sovranità nazionali e, ancora, se non sia il caso di restringere significativamente il territorio di un’Europa politicamente unita rispetto agli attuali assetti a 27/28.

 

Perché manca (se manca) una strategia mediterranea e internazionale dell’Unione Europea?

Perché l’Europa, qualunque forma assuma, è sempre a trazione tedesca e i tedeschi sono sempre stati miopi e poco capaci di comprendere l’importanza strategica dello scacchiere mediterraneo. La novità è che i tedeschi oggi fanno fatica persino ad elaborare una strategia internazionale, un tempo si sarebbe detto una Weltpolitik. E’ il frutto dell’autocastrazione strategica che i tedeschi si sono autoimposti dal Dopoguerra ad oggi, per non incorrere nelle ire dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale. La Germania è divenuta riluttante a pensarsi come “grande potenza”, fugge le proprie responsabilità in questo senso, eppure di fatto, per la sua semplice consistenza geopolitica, finisce per svolgere tale ruolo, da cui derivano amici e nemici oggettivi, al di là delle alleanze ufficiali, che hanno poi un riverbero sul destino dell’intera Europa. Guidata dai suoi interessi economici, dalla potenza della sua moneta, il marco/euro, nonostante la sua timidezza politica, Berlino è, di fatto, divenuta la capitale d’Europa e Washington guarda con malcelato sospetto e ostilità la coincidenza di interessi e la sinergia che il suo alleato teutonico dimostra di avere con Russia e Cina.

 

Di sicuro c’è il risveglio delle identità nazionali, e #CulturaIdentità ne è la rappresentazione più importante sul panorama editoriale italiano, un fenomeno che nessuno può più negare. Perché accade e quale sarà la portata di ciò sulla politica europea e quali saranno gli effetti sul medio termine?

Lo spaesamento prodotto dalla globalizzazione, soprattutto culturale, proseguita a tappe forzate negli ultimi 30 anni, ha determinato una reazione forte in Europa: inconsapevolmente i popoli si interrogano su sé stessi, si chiedono istintivamente quale sia la loro identità e se salvaguardare questo elemento così importante, non sia anche utile a difendere meglio i propri interessi. In questo senso assistiamo davvero alla rivolta dei popoli contro le élites cosmopolite che li soggiogano con i loro privilegi e le loro ideologie. Il punto è dare una forma compiuta e duratura a questo nuovo paradigma culturale che monta dal basso e che, paradossalmente, nella riscoperta delle differenze, ma anche dei punti di unità profonda e comunanza tra le culture e le tradizioni dei diversi popoli del Vecchio Continente, potrebbe diventare la base da cui partire per costruire una Nuova Europa.

 

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