Il derby di Manchester e l’anima City che intona “Blue Moon”

Ci sono ragioni che portano una città dritta nella storia. Manchester, da sempre, ne ha due. La capitale europea della seconda rivoluzione industriale sul finire dell’ottocento, quando le ciminiere incominciarono a caratterizzare la periferia della città, ha contribuito alla consacrazione del Football inglese con la fondazione di due club, il City e lo United. La rivalità tra le tifoserie non da subito è stata acerrima, ma dal secondo dopoguerra, quando il calcio si è fatto cosa seria, ha preso i contorni della tradizione British: talvolta violenza, spesso humour. I due club hanno appagato i sentimenti di chi popolava gli slums, così come di tutti quelli per i quali le periferie erano da guardare da lontano, da evitare: i tifosi dei Red Devils – per dirla con Liam Gallagher – “sono quelli che portano la camicia nei pantaloni e indossano ancora le Adidas Samba”; i Citizens, eleganti e sornioni, convivono con il club più titolato d’Inghilterra, ma hanno saputo resistere decenni ed ora non aspettano altro che servire la gelida vendetta.

Nel 2005 a Manchester atterrò il magnate americano Malcom Glazer che portò con sé profumati dollari americani: comprò lo United e seminò scetticismo tra la tifoseria tradizionalista. I supporters del City colsero la palla al balzo e non smisero mai di sfotticchiare i nemici numeri uno per aver perso la loro, ostinata, britshness. Il coro “Usa, Usa, Usa” caratterizzò il derby di Manchester fino al 2007, quando anche gli azzurri del City passarono in mani straniere – prima thailandesi, poi saudite. Manchester si ritrovò, nel giro di due anni, il centro economico del calcio europeo: i petrodollari degli Emirati Arabi contro i dollari – quelli veri – degli americani; il Manchester United dominatore (quasi) incontrastato del calcio inglese, contro il piccolo City finalmente diventato grande. Il poter competere economicamente con le Furie Rosse ha riacceso gli animi citizens che hanno visto sbarcare alla corte saudita campioni come l’Apache Tevez, Edin Dzeko, Mario Balotelli, oltre ad un allenatore, Roberto Mancini, in grado di bisticciare elegantemente con Sir Alex Feguson, padre padrone dello United.

L’Etihad Stadium di Manchester, la casa del City, ieri ha ospitato il Monday Night dell’anno: le due squadre si sono affrontate, e si son giocate buona parte del titolo d’Inghilterra. Il City, dopo anni passati a mangiare polvere, ha raggiunto i rivali in vetta grazie ad una vittoria costruita nel tempo, difesa con i denti per tutti i novanta minuti. Il gol di Kompany, arrivato allo scadere del primo tempo, ha il sapore di quella rivincita che la metà perdente di Manchester ha aspettato per decenni. Mancini, non più solo una sciarpa che cammina, sta preparando il piatto; l’anima City di Manchester, dal canto suo, non aspettava altro che intonare Blue Moon dalla vetta della Premier League: il calendario è difficile, le giornate son poche (due), il sogno è ad un passo. Così come la vendetta, fredda come un 1 a 0 all’italiana.

 

 

Archie Gemmil

Archie Gemmil su Barbadillo.it

Exit mobile version