Calcio. Auguri al libertario Sodinha, genio sregolato che fece urlare Conte e Cosmi

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Una vita di dismisure, abusi, eccentrici sotterfugi e furbate. Compie (solo) ventinove anni Felipe Sodinha, fantasista e sfrenato funambolo italo-brasileiro famoso per i suoi chili di troppo e per il genio cristallino. Il suo sinistro, proveniente dalla lontana landa paulista di Jundiaí, approda nel 2008 ad Udine e immediatamente (al suon di “svezzare subito”) smistato a una costellazione di squadre di B, il Bari in primis. Lo smarrimento del trequartista libertario – poco avvezzo a queste manovre di mercato e alla poca fiducia – si spegne quando s’imbatte nel suo nuovo allenatore, Antonio Conte, allora a capo della cavalcata per la promozione biancorossa. Sodinha raccoglie solo quattro presenze stagionali, tante sbronze – e non solo: “Sesso pre-partita? E’ capitato due-tre volte che ho portato in ritiro una donna il giorno prima della partita. Successe ai tempi di Bari e Brescia, ma poi feci goal e abbiamo vinto. A Bari, Conte non lo sapeva” – e una strigliata, che ancora ricorda nitida: “Vacanze di Natale, vado in Brasile e mi ripresento a Bari con dieci giorni di ritardo. Conte mi chiama nel suo stanzino: ‘Non ti voglio più vedere, allenati da solo, vattene’. Durissimo, senza pietà, ma aveva ragione lui”.

Nomade per scelta (degli altri).

I levantini del compianto Matarrese, alle prese con i festeggiamenti per l’evento epocale e presi a magnificare le gesta di Barreto, cacciano a pedate il Nostro, che precipita in un nomadismo senz’anima. Vaga in Lega Pro, tra Paganese e Portogruaro, e per la prima volta molla il pallone. Dopo un anno di inattività, nel 2012 torna in patria, al Ceará. Ma è una dolce e pascoliana illusione: dopo qualche settimana risponde più che presente alla chiamata del Brescia di Calori. Di qui la svolta. Sodinha giochicchia con regolarità, incanta i bresciani mostrandosi metronomo e giocoliere e segna il suo primo gol alla fine del 2013, contro il Varese. Ma ogni croce ha una sua delizia: proprio nel periodo di maggiore normalità, Felipe cede ai suoi vizi, sguazza nell’alcol, s’impingua oltre ogni misura e, dopo diversi battibecchi, viene messo fuori rosa nell’estate del 2014, salvo poi essere richiamato in causa ad ottobre e convocato. Per il Brescia, però, cominciano i tempi bui e il turbinio fallimentare: tra una richiesta di messa in mora della società e una sconfitta dopo l’altra, la squadra retrocede e lui allontanato a furor di popolo (“panzinha!”). Il Trapani cosmiano e rude corre in suo soccorso e scommette su di lui, accaparrandoselo nel luglio 2015.

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Niente lieto fine.

Ma è una tragedia: Sodinha gioca poco più di duecento minuti, si fa male al ginocchio (ossessione che lo tormenta da sempre) e a gennaio recede dal contratto, ritirandosi, a ventisette anni, di nuovo. Cosmi gli dedica una lettera strappalacrime: “Felipe sicuramente ha fatto degli errori, anche grandi, ma solo la sfortuna, intesa come infortuni seri (cinque operazioni), gli ha impedito di esprimere quello che avrebbe fatto felice non solo i suoi tifosi, ma tutti i veri amanti del calcio vero, quello della classe pura, della tecnica unica, di una fantasia disarmante. Ci mancherai Felipe. Mi toccherà sentire ed ascoltare elogiare fenomeni di giocatori alti 1,90 centimetri, di grande corsa, che per guidare o stoppare la palla (sì, la palla) impiegano ben cinque secondi, mentre tu lo facevi in meno di uno. Con me hai giocato 213 minuti. Ti giuro, sono stati molto più belli di campionati interi giocati da altri.  Cerca, se puoi, di regalare a tanti bambini la tua immensa classe, cercando di insegnargli qualche giocata delle tue… ed i mediocri torneranno a trovare un nuovo Sodinha su cui accanirsi e, magari così, a vincere le loro frustazioni”.

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Non mollare mai. 

Una storia del genere non può chiudersi così banalmente. E infatti nel 2017 arriva l’ennesima rinascita. Sodinha torna sul campo, rigenerato, magro e lindo. “Sono arrivato a pesare 98 chili, ora ne peso 83. L’anno scorso dopo aver lasciato il Trapani mi sono ritrovato sul divano, a vedere le partite e a piangere. A un certo punto è scattato qualcosa, mi ripetevo che non poteva finire così, a 27 anni. Sentivo un richiamo forte e mi sono alzato dal sofà. Ho incontrato Gesù, mia moglie e un ottimo dietologo: basta con l’alcol, per sempre”. Alè. Finito il campionato, una settimana fa si appalesa alla corte arancionera del Mestre, laccato e come un figurino, all’urlo di: “Ora ho solo fame di gol”. Tutto bene, almeno speriamo. Un po’ George Best – “quanto denaro ho dato via per cose inutili, quanto ne ho regalato” -, sregolato e nichilista – “otto anni fa rifiutai la convocazione dell’Under azzurro, non ricordo neanche il perché –, fuori da ogni schema, sintesi del fútbol più incontaminato – suo padre giocava nel Santos – e della italianissima domenica con la panza, frizzante come la sodinha, storica bevanda brasiliana. Auguri, Sodinha.

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Francesco Petrocelli

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