Dalla parte di Buffon chi ama il calcio come sublimazione del conflitto

Un uomo di calcio senza ipocrisie contro moralisti e buonisti. Il duello mediatico scaturito dalle parole del portiere della Juventus Gianluigi Buffon si innesta in pieno nell’eterna guerra in corso nel calcio italiano, dove ogni duello è quello buono per riattualizzare la contrapposizione tra Orazi e Curiazi o tra Guelfi e Ghibellini.

Al numero uno azzurro contestano queste dichiarazioni, rilasciate sabato notte a San Siro, dopo il pari rovente contro il Milan, in merito al gol non convalidato a Muntari: “L’azione è stata talmente convulsa e veloce che non mi sono accorto se fosse gol o no. E se anche se me ne fossi accorto, non faccio il figo e il bello, e ammetto che non l’avrei detto all’arbitro. Per il processo di beatificazione, ci penserò più avanti”. Sono parole che denotano come sempre la schiettezza del bianconero nel commentare un episodio che segnerà per sempre questo campionato, riaprendo la ferita di Calciopoli, tra bianconeri con il complesso di vittime sacrificali e tutti gli altri pronti a ricordare i favori ricevuti dal club degli Agnelli nel passato.

Buffon ha semplicemente interpretato lo spirito di tutti quelli che almeno una volta nella vita hanno indossato una maglia da calcio in una competizione agonistica. L’obiettivo è vincere e i novanta minuti non sono altro che una sublimazione della guerra, con regole che devono incanalare le energie e la rabbia sportiva, ma pur sempre in un quadro di “polemos” infuocato. “Qualcuno ha detto che al mio posto l’avrebbe ammesso? Portatelo qui”: il portierone non teme smentita. Conosce le regole dei media e non è intenzionato a fare alcun passo indietro, fermo restando che il gol del ghanese era regolare almeno quanto quello siglato da Matri, ma annullato per un inesistente fuorigioco.

A “Radio Anch’io Sport” il presidente dell’Associazione italiana arbitri, Marcello Nicchi, non ha perso occasione per salire in cattedra indossando i panni della maestrina: “Sono rimasto deluso da Buffon, capitano della mia Nazionale. Ha detto cose che si poteva risparmiare e non è un esempio per i giovani”. Sulla stessa lunghezza d’onda, come prevedibile, si è sintonizzato l’allenatore del Pescara, Zdenek Zeman: “Di solito durante una partita nessuno direbbe se il pallone è entrato in porta o no, dopo la gara però si deve ammetterlo. E chi lo fa è solo onesto. Buffon è anche capitano e portiere della Nazionale: credo che debba dare l’esempio e dimostrare onestà”. Prova a definire una sorta di terza posizione tra innocentisti e colpevolisti il presidente dell’Uefa Michel Platini: “Ha esagerato con le parole, ma sarebbe stato più interessante se l’arbitro avesse chiesto a lui se era o meno gol. Se io da calciatore avessi fatto gol di mano lo avrei detto solo se qualcuno me l’avesse chiesto”.

La replica di Buffon

“Ridirei esattamente tutto quello che ho detto sabato sera. Il rispetto e la stima che hanno i miei compagni mi basta, non mi importa nulla – afferma difendendo le sue posizioni il capitano azzurro – Sono contento di come sono, sono ancora più orgoglioso di essere fatto in questa maniera, sono molto più leale di tanti retorici che si accaniscono dietro a determinate frasi. Questo è un mondo in cui ognuno dice la sua. Io non devo giustificarmi, la gente scriva quello che pensa, io ripeto che in quella situazione non ho visto nulla”. E al presidente dell’Aia Nicchi ribatte deciso: “Sinceramente non capisco, è una retorica avvilente, stucchevole”. E in difesa di Buffon c’è anche il capitano milanista Thiago Silva: “Avrei fatto anche io lo stesso – ha argomentato il difensore– il calcio è la mia vita e il mio lavoro, avrei fatto come Buffon, non avrei parlato. Però in una partita così importante l’arbitro non può sbagliare”.

 

Il calcio ci piace così

Le polemiche non accenneranno a placarsi nelle prossime ore. Ma la dea “Eupalla” ci piace così. Milan-Juventus, infatti, è stata l’apoteosi di un conflitto tecnico, tattico e antropologico. In questo genere di contese non c’è spazio per filosofeggiare. La rabbia di Adriano Galliani, ad del Milan, contro l’arbitro Paolo Tagliavento, è stata incontenibile e ha travolto anche il tecnico della Juve, Antonio Conte, che era nei paraggi. L’allenatore salentino non ha mai nascosto di avere un caratteraccio e ha replicato per le rime. La ricostruzione dell’incontro-scontro nel sottopassaggio del campo di San Siro sembra una sceneggiatura da vera commedia italiana, uno spazio libero da infingimenti e facce lavate. Il pugnetto di Mexes a Borriello, la strattonata virile tra Muntari e Lichtsteiner, il faccia a faccia tra Conte e Van Bommel dopo il fischio finale, la furia di Chiellini sono pennellate di energia primordiale in un mondo che vorrebbe omologare anche il calcio attraverso la fallace rappresentazione di ventidue calciatori pronti a porgere l’altra guancia dopo un ceffone, con sugli spalti tifosi inebetiti da un pericoloso oppio dei popoli neobuonista. La frecciata del rossonero Massimiliano Allegri nel dopo-partita – “Non parlo più, devo chiedere il permesso allo juventino Marotta” – è di sicuro veleno, ma rappresenta benzina sul fuoco di un campionato che finora non ha certo brillato per spessore o novità. Anche l’elogio sportivo celebrato da Conte degli avversari – “ci hanno messo in difficoltà per 60’ con le nostre stesse armi” – dimostra che l’analisi di un pareggio discusso non sempre risente della partigianeria. Il calcio vero è così. Chi sogna una partita senza errori e polemiche e meravigliose esplosioni di irrazionalità può tranquillamente accontentarsi delle simulazioni nei videogame.

* dal Secolo d’Italia, rubrica Secolo Sportivo

Michele De Feudis

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