Politica. Caso Banca Etruria e la “povera” sinistra, chiusa in un caveau

Il titolo del Fatto quotidiano sulla Boschi e il caso Etruria
Il titolo del Fatto quotidiano sulla Boschi e il caso Etruria

E dunque ci siamo accorti che quelle quattro piccole banche di provincia non erano tanto piccole e che, udite udite, sebbene confinate idealmente nel limbo del proprio territorio esse facessero né più né meno quello che fanno le banche degli squali della finanza. Già, non erano banchette di pesciolini rossi – sebbene la matrice del Pd sia ben rintracciabile nel crac di Etruria – bensì istituti di credito propriamente detti che una volta scoppiato il bubbone hanno creato un dissesto nazionale, e non solo, che dovrà essere ripianato dai giganti del credito con 3,6 miliardi di euro. 

È la perversione tutta italiana di giocare col fuoco, di pensare ancora che lo sportello sotto casa sia quello che ci tutela il risparmio: siamo il Paese che più di ogni altro, ovviamente coi nostri tempi, ovvero fuori tempo massimo, vuole cavalcare l’onda del liberismo e poi ci scontriamo col volto peggiore, vale a dire la finanza che risponde a sé stessa. E se non ci fosse di mezzo il morto, quel pover’uomo impiccatosi a Civitavecchia dopo che i suoi risparmi si sono rivelati carta straccia dopo essere stati investiti in obbligazioni subordinate tier II, ci sarebbe da ravanare parecchio per capire di chi sono le responsabilità e contro chi puntare l’indice. 

Il caso del Montepaschi è dietro l’angolo e abbiamo fatto finta di essercene dimenticati. Ci eravamo detti che no, non sarebbe mai più accaduto un nuovo caso di così manifesta mala gestione, in compenso il padre di un ministro, previa nomina in CdM della figlia, assurge magicamente al posto numero due del consiglio di amministrazione della Popolare dell’Etruria, il fratello della suddetta ministra stava all’ufficio fidi e quindi e insomma quel parentado fatto di amici, elettori, amici degli amici, elettori degli amici, come in ogni commedia dal sapore tragico all’italiana… 

È più di una settimana che ormai il Paese parla con competenza ritrovata di materia finanziaria, di diritto bancario e via dicendo:

lo stesso Paese che pure per una carta di credito firma quaranta pagine in corpo otto senza neppure leggere che ci sia scritto.

Il sistema, conscio di tutto ciò, ci mette del proprio: si cambiano le disposizioni normative in corso d’opera, si fa comunicazione a Consob che solerte pubblica sul proprio sito i nuovi termini degli accordi tra gli istituti emettitori e i contraenti di azioni e obbligazioni subordinate. Ovviamente fino ad una settimana fa nessuno sapeva che cosa fosse Consob, ma questo è un altro discorso… E’ chiaramente mancata la vigilanza della Banca d’Italia, che si è limitata a sanzionare i vertici della Etruria per mancata trasparenza e un sacco di altre cose. Siamo poi arrivati ai commissari col cda che si è sciolto e l’iter già visto enne volte. 

Non si starà qui di certo a ripercorrere la cronaca di una morte annunciata, i termini tecnici e i virtuosismi di sistema con cui il primo istituto toscano del credito, venuto meno il concorrente senese, ha scelto di chiudere con un buco colossale e di affondare portandosi dietro pure gli obbligazionisti subordinati truffati. Questa è semmai la sede per una riflessione ulteriore. La Toscana è la regione del Monte dei Paschi, la banca territoriale per eccellenza che a un certo punto della sua storia centenaria decise di giocare sul grande palcoscenico. Prima però di decretare la sua fine acquistando Banca Antonveneta per accontentare qualcuno, già la banca era stata oggetto di attenzioni per la vendita di prodotti finanziari come My Way e For You. In quel caso però – ricordano nostre fonti vicine al management di allora – “il problema di immagine vi era stato, ma gli accordi con le associazioni di consumatori ripristinarono una percezione di fiducia nei confronti della banca. Peraltro le sentenze dei tribunali sulla trasparenza e soprattutto l’attuale margine positivo per i clienti restituiscono un vantaggio economico per i sottoscrittori che ancora oggi hanno in portafoglio quei prodotti, da contrapporre agli oggettivi errori di commercializzazione commessi in pochissime circostanze accertate”. 

Etruria ha fatto di peggio vincolando la propria clientela indistintamente alle obbligazioni subordinate: infischiandosene del profiling dell’utenza, ha creato, stante la situazione a un passo dal baratro, un’ecatombe tra i piccoli risparmiatori. 

Etruria era una popolare vera prima del decreto che l’ha convertita in società per azioni, il che faceva il paio con l’essere un vero e proprio feudo della politica locale. Il problema del sinistra, più o meno democristiana, è che negli anni ha creduto davvero non solo di poter avere ingerenze sulla finanza, ma addirittura di scoprirsi banchiera a sua volta. Sono spuntati una serie di volti ignoti che però avevano posizioni pesantissime e responsabilità più grandi di loro. La popolare dell’Etruria fa il paio col caso poco precedente del Montepaschi e in più vi pone pure una certa ingenua grossolanità: prima l’acquisizione della banca Del Vecchio di Firenze per 60 milioni, un’OPA che gli amministratori aretini avevano difeso in virtù del portafoglio clienti della vecchia banca della nobiltà fiorentina (che intanto aveva portato i conti altrove), poi la scelta di puntare sullo yachting – proprio a Civitavecchia – con un sistema di società di comodo quanto meno ridicolo, infine legando mani e piedi i risparmiatori al proprio capitale in un ultimo abbraccio mortale. È solo un film ahinoi già visto, che matura questo sì nella profonda provincia, dove amministratori locali – anche stavolta battenti tessera Partito democratico – hanno decretato la fine di una banca, e quindi messo in ginocchio un territorio. Le responsabilità di sistema le accerterà la magistratura, i ruoli di Consob e Palazzo Koch dovranno essere analizzati nei dettagli, ma resta il fatto evidente di per sé che la politica si è inebriata dell’idea di avere un’altra banca e di giocarci come meglio credeva. Senza competenze, pensando di potere dare del tu ai grandi vecchi della finanza cattolica italiana, che restano lì e ancora assistono a scene di piccoli scout che abbandonati i calzoncini pensano che bastino giacca e cravatta per fare un bilancio.

In un memorabile incontro a casa di Alfio Marchini, l’allora temutissimo Massimo D’Alema ebbe modo di trovarsi davanti ad Enrico Cuccia, il patron della finanza laica targata Mediobanca. Con aria ossequiosa e reverente dette il migliore spettacolo di ciò che avrebbe fatto la sinistra nei decenni a venire: chinare il capo davanti ai banchieri. Del resto la sinistra non ha mai creato nuova classe dirigente in politica, figurarsi se aveva le competenze per creare nuovi volti per la finanza…

E oggi? Oggi siamo oltre ovviamente, e la scena è, se si vuole, anche peggiore: il braccio destro renziano, Marco Carrai, sta chiedendo a Bini Smaghi di prendere le sorti di Etruria per un rilancio in modo da fare una nuova banca funzionante e che sia referente dell’esecutivo. L’aspetto buffo è che il premier sia capace di pensare che uno come Bini Smaghi possa essere minimamente suo referente. Contento lui… 

@barbadilloit

Matteo Orsucci

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