Esteri. L’Eni e la strategia alla Enrico Mattei dietro la preziosa mediazione in Libia

Non è una riproposizione delle strategie di Enrico Mattei, ma il successo dell’Eni che continua a produrre barili di petrolio in Libia è comunque degno di nota. Il Wall Street Journal ha rivelato (probabilmente con scarso entusiasmo) che il gruppo italiano continua ad estrarre greggio e gas, garantendo la sicurezza dei propri impianti, mentre le altre compagnie hanno dEniovuto rinunciare. A cominciare proprio dalla francese Total, ossia la responsabile principale del disastro attuale in Libia. Perché sono stati gli appetiti petroliferi transalpini a spingere l’incompetente presidente francese Nicolas Sarkozy a scatenare la guerra contro Gheddafi.

Una guerra che ha portato all’eliminazione fisica del leader libico forse anche per nascondere i finanziamenti elargiti proprio al presidente francese. Ma, in ogni caso, l’obiettivo dell’Esagono era imporre la Total come partner privilegiato della nuova Libia, scalzando l’Italia che era la protettrice di Gheddafi e che aveva anche il ruolo di protagonista nel settore energetico libico (e non solo in quello).

Francesi e inglesi, con il sostegno americano. Per eliminare Gheddafi ed eliminare l’Italia dalla scena. Il risultato? Migliaia di morti, una situazione disastrosa sul terreno, nuovi Paesi protagonisti sulla scena, la Total in fuga, gli americani bloccati nell’estrazione di gas e greggio, e l’Italia ancora lì.

Grazie ad una intelligente opera di mediazione e di confronto con le milizie e con le tribù. In questo, ma solo in questo, la strategia attuale può ricordare quella di Mattei. Una strategia intelligente, perché i vertici dell’Eni hanno scelto la strada del pragmatismo e sanno benissimo che la democrazia occidentale è una totale idiozia in Libia. Dove contano i clan, le tribù, ed ora le milizie. Dunque è con loro che si deve trattare e non con gli osservatori internazionali portatori sani di democrazia.

Le differenze con l’Eni di Enrico Mattei

Le differenze con Mattei, però, sono notevoli. Innanzi tutto perché, in quel caso, si trattava di una strategia ad ampio raggio, con un obiettivo ben preciso di indipendenza energetica italiana. Non soltanto in Libia, dunque, ma in numerosi Paesi produttori di petrolio. Mattei sfidava apertamente le “7 sorelle” e lo faceva in accordo con parte della politica italiana. C’era ancora un settore della Dc che proveniva dal fascismo (basti pensare a Fanfani) e che aveva obiettivi diversi dal mero allineamento agli interessi americani o inglesi.

L’Eni e l’interessi degli azionisti (l’interesse nazionale è misconosciuto dal governo)

Ora la situazione è sensibilmente diversa. L’Eni lotta per i propri azionisti e manca totalmente una strategia di indipendenza nazionale a livello governativo. La Francia, stoltamente, ha scatenato una guerra per favorire gli interessi nazionali, l’Italia ottusamente non ha difeso i propri. Non c’è un “interesse Paese” da tutelare. Siamo carenti di politica economica interna ed il povero Gentiloni (comunque un salto di qualità enorme rispetto a Mogherini) non può fare una politica estera autonoma considerando i condizionamenti a cui è sottoposto Matteo Renzi. Il premier non è una garanzia di indipendenza, proprio non la cerca. E l’Eni si occupa di affari, non di politica nazionale. Lo fa bene, indubbiamente. Una politica aziendale che garantirebbe ottimi risultati anche a livello politico, se solo il governo avesse qualche capacità in più. Basterebbe accodarsi all’Eni quanto tratta con gli islamici di Tripoli per contare qualcosa nelle trattative con l’Egitto, con la Turchia, con la Russia. Protagonisti nuovi sulla scena libica. E con loro bisognerà fare i conti anche dopo. Ma non basterà Descalzi per trattare a livello politico. E neppure Gentiloni, sino a quando il premier si limiterà agli atteggiamenti alla Fonzie senza avere la benché minima idea di cosa sia la politica estera.

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Augusto Grandi

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