Ode al “Dio Catenaccio”. Il riscatto del pensiero calcistico-culturale di Mondonico

In un contesto generale dominato da “neo-sacchiani” e “neo-zemaniani”, esteti e ammiratori del «bel giuoco» offensivo, Emiliano Mondonico da Rivolta D’Adda è rimasto l’ultimo baluardo del calcio all’italiana. Le sue bravate, in gioventù, erano quelle un giovane che abbandonava i ritiri per andare ai concerti degli Stones.

Le sue bravate dei giorni nostri, ora che ha quasi 65 anni, sono quelle venute alle cronache dopo lo storico Inter-Novara 0-1 di domenica scorsa. Una gara d’altri tempi, quanto al tipo di gioco espresso, quel calcio all’italiana tutto «catenaccio e contropiede». Due parole oggi impronunciabili, specie agli occhi di molti, tra allenatori e addetti ai lavori. «Abbiamo vinto col calcio di una volta – ha detto Mondonico –: chiamiamolo contropiede, non ripartenza».

Già, «non chiamiamolo ripartenza». Anche se «ripartenza» suona un po’ come «non vedente» al posto di cieco.

Ma quel modo di giocare a pallone, il vecchio contropiede, è una categoria dell’anima. È il nostro modo di fare calcio, quello cantato un tempo da Gianni Brera. È il gioco all’italiana, quello grazie al quale ancora nel 2012 il Novara può battere l’Inter. Perché Davide sarà più piccolo di Golia, ma quando ci si mette è anche più astuto.

Socrates

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