Calcio. La Nazionale azzurra dal difensivismo puro alla scoperta della trazione anteriore

Stephan El Shaarawy Mario BalotelliSarà l’Italia delle creste, degli attaccanti e del ritorno degli ‘oriundi’. Ma, soprattutto, sarà la Nemesi che colpirà la nostra filosofia catenacciara, la vendetta del Brasile ’82 che si consumerà a trent’anni di distanza dalla semifinale nel Mundial di Spagna dominata dagli azzurri di Pablito Rossi e Dino Zoff.

Per l’infallibile legge dei corsi e ricorsi storici il commissario tecnico della Nazionale, Cesare Prandelli, potrebbe trovarsi di fronte ad una nuova generazione di calciatori che lo riporterà indietro nel tempo, fino all’epoca del suo illustre ‘collega’ Vittorio Pozzo. Sperando di vincere almeno la metà di quell’Italia infarcita di ‘stranieri’ che insegnò calcio nella prima metà del Novecento, aggiudicandosi ben due mondiali, le Olimpiadi – che allora erano una cosa seria, non la versione sgonfiata dei mondiali under 23 di scena oggi – e togliendosi altre belle soddisfazioni.

Senza scomodare Raimundo ‘Mumo’ Orsi, Atilio De Maria, Attila Sallustro – detto il Veltro -, Julio Libonatti – il primo ‘oriundo’ a vestire la casacca azzurra -, ed in epoca relativamente più recente i vari Josè Altafini, Omar Sivori e via discorrendo arrivando fino all’ultimo naturalizzato iridato, l’italo-argentino Mauro German Camoranesi, vincitore del mondiale di Germania nel 2006, la nazionale di oggi, grazie al talento impressionate di gente come Mario Balotelli e Stephen El Sharaawy rischia seriamente di essere una squadra in grado di aprire un ciclo di vittorie incredibili nel segno del gioco d’attacco. E se, ottanta e passa anni fa, giocare con cinque attaccanti era la norma oggi potrebbe diventare una necessità per non perdere nemmeno una goccia del potenziale offensivo che – specialmente i giovanissimi – sembrano promettere ai colori azzurri. Oltre a SuperMario ed al Faraone, infatti, Prandelli dovrà tenere bene in mente che il futuro delle sorti dell’Italia pallonata passano attraverso le incredibili prestazioni di gente che risponde al nome di Fabio Borini, Alberto Paloschi, Alessandro Florenzi, Manolo Gabbiadini, Riccardo Saponara e ancora Lorenzo Insigne, Ciro Immobile, Samuele Longo. Tutti calciatori che, seppur non attaccanti dichiarati, sono votati al gioco in avanti. A Prandelli adesso si aprono due strade: elaborare in chiave mediterranea il ricamato tiquitaca di marca Barcellona o scaricare gli aggiornamenti al vetusto W-M applicando app ultramoderne a quello che fu il ‘Metodo’ all’italiana.

Quanto sta accadendo al movimento calcistico italiano ha il sapore di una feroce vendetta, ancora più ‘crudele’ perché consumatasi ad oltre trent’anni di distanza.

L’indimenticabile brasiliano Zico, quello delle punizioni imprendibili che in Italia vestì la maglia della ‘provinciale’ Udinese, non ebbe dubbi a sentenziare, qualche mese fa, che: “La vittoria dell’Italia nella semifinale di Spagna ’82 ha contribuito a peggiorare il calcio”. Da allora infatti anche i festosi carioca rinunciarono all’attacco a prescindere, cominciarono a rintanarsi in difesa, tassellando vere e proprie maginot. E domani la Nazionale, per sopravvivere, sarà costretta giocoforza a reinventarsi giocando prevalentemente d’attacco. Più cattivi di così, nella terra che è stata di Calligaris, Rosetta, Maldini padre e figlio, Gentile, Scirea, Baresi, Nesta e Cannavaro non si poteva proprio essere…

Twitter: @giovannivasso

 

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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