Sotto inchiesta è finito il progetto della cittadella sportiva del Cagliari, sotto processo però c’è la famigerata legge Crimi, quella dei rutilanti stadi-centri commerciali. L’ennesima scopiazzatura balorda ed inefficace, bagnata nello sciroppo dell’esterofilia, dell’imitazione a tutti i costi di quanto succede nei ‘grandi campionati occidentali’.
Dietro il paravento di obiettivi tutto sommato condivisibili – chi non vorrebbe vedere la partita in uno stadio almeno decoroso? – le proposte e le soluzioni (?) sono scarse, decontestualizzate, inapplicabili o peggio ancora inutili e dannose. L’elenco è sterminato: negli ultimi anni la politica, per lo sport, ha partorito delle vere e proprie idiozie spacciate ai gonzi in buona fede come panacea di tutti mali. Un calembour di sciocchezze, smentite dai fatti, soprattutto da quelli dei ‘grandi campionati occidentali’: mentre in Italia i tifosi sono considerati pazzi scatenati, forse contagiosi, da schedare, tesserare, monitorare e separare in definitiva dalla bella società, in Germania e in Spagna (da più di cinquant’anni) i supporter sono soci, dirigenti, hanno cariche rappresentative e di responsabilità negli organigrammi delle squadre del cuore. Se in Italia l’obiettivo dichiarato è quello di riportare le famiglie allo stadio, l’azione di chi di dovere sembra essere orientata proprio nel senso opposto. Gli stadi sono decrepiti, indegni, pericolosi. Perché risalgono – nel migliore dei casi – ad Italia ’90. Secondo il libro dei sogni della legge Crimi vanno rifatti, costruiti di nuovi e si deve dare l’opportunità alle società di gestirne gli spazi: con le compensazioni e i riconteggi degli oneri si possono creare spazi per negozi, ristoranti. Per dare alle famiglie l’opportunità di passare un’intera giornata allo stadio. Un modello che va bene solo per i grandi club, quelli che attirano ‘turismo’ e quindi flussi economici senza intralciare il business dei diritti televisivi che sono ‘salvi’ nelle domeniche ‘normali’. Il tifoso diventa consumatore e quando va allo stadio chiede alla grande squadra di fare almeno 5-6 gol, pena la class action. Non vale la pena, altrimenti, spendere 2-300 euro per andare allo stadio. Diventerà materia da tribunale civile il caso di pareggio, magari un noioso zero a zero con una Marchigiana qualunque.
Ma lo sport così muore. Il calcio abdica definitivamente alle ragioni dell’urbanistica, della ristorazione, del turismo, del denaro e cessa di essere metafora della lotta e perde definitivamente gli ultimissimi scampoli di epica, quella che ha fatto la grandezza del pallone. O tempora, o mores..