Irlanda. Addio a Gerry Conlon: dalla sua storia il film “Nel nome del padre”

nel-nome-del-padre-film-jim-sheridan1Una vita di lotta richiede sempre il suo prezzo. Gerry Conlon ha finito di pagarlo sabato scorso, sconfitto dalla malattia a soli sessant’anni e dopo averne trascorsi sedici da innocente recluso in carcere.

La sua vicenda è divenuta famosa nel 1993 grazie allo straordinario e toccante film di Jim Sheridan “Nel nome del padre”, dove il ruolo di Gerry è interpretato da Daniel Day-Lewis. È la storia di un diciannovenne di Belfast, emigrato in Inghilterra, che nel novembre 1974 si ritrova accusato di un attentato dell’Ira ad un pub di Guildford in cui perdono la vita cinque persone.

Gerry è uno sbandato che vive di espedienti, ma non è coinvolto in nessun modo nella lotta armata e nelle attività dell’Ira: la sua colpa, come cantano i Pogues in “Street of Sorrow”, è quella di essere irlandese nel posto sbagliato e al momento sbagliato (“being Irish in the wrong place at the wrong time”). Insieme a tre amici (la stampa li ribattezzerà i “Guildford Four”) il giovane cade vittima di una spirale di autoincriminazioni estorte con percosse e minacce e di un castello di prove false fabbricato da Scotland Yard.

Il clima d’isteria collettiva è tale che l’accusa riesce a far incriminare per complicità altri sette innocenti (i “Maguire Seven”), tra cui il padre di Gerry, Giuseppe, gli zii e due dei loro figli di appena 14 e 17 anni. Nell’ottobre 1975 un giudice condanna tutti gli imputati a pene dai quattro anni all’ergastolo, esprimendo fra l’altro il rammarico di non aver potuto pronunciare nei loro confronti una sentenza di morte.

Solo nel 1989, grazie alla determinazione dell’avvocatessa Gareth Peirce, Gerry e i suoi coimputati verranno assolti con formula piena. Per Giuseppe Conlon, stroncato in carcere nove anni prima da un enfisema polmonare, la riabilitazione è ormai inutile.

I responsabili dell’attentato di Guildford restano tuttora ignoti, così come non è stato individuato alcun colpevole per i successivi depistaggi: tre funzionari di polizia accusati di aver fabbricato prove false sono stati prosciolti a pochi mesi dall’uscita del film. Segnato da traumi psichiatrici e da problemi di alcol e droga, culminati in un tentativo di suicidio, Gerry Conlon ha continuato fino all’ultimo a portare avanti la sua battaglia per la verità “nel nome del padre”.

I “Guildford Four” e i “Maguire Seven” sono infatti le più famose ma non le uniche vittime di errori e persecuzioni giudiziarie commessi durante il conflitto nordirlandese: celebri i casi analoghi dei “sei di Birmingham”, liberati dopo diciassette anni di detenzione, o dei “cinque di Beechmount” e dei “sette di  Ballymurphy”. Tutti caduti sotto la mannaia di una legislazione antiterrorismo che dal 1974 al 1990 ha prodotto quasi 7mila fermi, conclusi nell’86% dei casi con il rilascio per mancanza di prove.

In tempi recenti, una sentenza controversa ha portato alla condanna di due nazionalisti per l’omicidio di un agente di polizia nel 2009, il primo commesso nell’Irlanda del Nord dopo l’accordo di pace: Brendan McConville e John Paul Wootton, i “due di Craigavon”, sono stati incriminati sulla base di una testimonianza da molti ritenuta inattendibile. In favore delle loro ragioni si era schierato anche Gerry Conlon.

Come Bobby Sands fu l’emblema della ribellione volontaria all’oppressore, Gerry Conlon ha rappresentato l’altra faccia del sacrificio di un popolo. Tra pochi giorni entrambi riposeranno nel cimitero di Milltown, il sacrario dei martiri di una terra senza giustizia.

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Andrea Cascioli

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