Economia. La Pasta Garofalo diventa spagnola. L’Italia (agroalimentare) è in saldo

garofalo pastaEsistono settori strategici riconosciuti come tali. Gli armamenti, ad esempio. Ma anche le infrastrutture, le telecomunicazioni, la produzione di acciaio e di mezzi di trasporto. La produzione di energia. L’Italia è uscita dalla maggior parte di questi settori e si appresta, con la scusa delle privatizzazioni, ad abbandonare anche quelli rimasti. Ma c’è un altro settore che, nella pressoché totale indifferenza, sta passando di mano, sta passando in mani straniere. È l’alimentare.

Uno dopo l’altro i marchi più prestigiosi vengono venduti ad imprenditori di Paesi che conoscono l’importanza, strategica, della produzione agroalimentare. Ormai l’elenco è lunghissimo, l’ultimo marchio a finire sotto il controllo straniero, in questo caso spagnolo, è Garofalo. Uno dei simboli della pasta italiana di qualità. Qualche ottuso esponente della classe dirigente del nostro Paese esulterà, perché gli euro in arrivo dalla Spagna dimostrano che il tessuto industriale italiano ha ancora estimatori.

D’altronde una consistente parte dell’immagine positiva dell’Italia nel mondo è proprio legata al cibo, ai vini. Buono e ben fatto. Il made in Italy vive di questa immagine, perché la Ferrari – visti anche i risultati sportivi – non è più sufficiente, da sola.

Peccato che a guidare le nostre aziende siano, troppo spesso, proprietari non più interessati a proseguire l’attività o manager di scarse capacità. Dunque meglio far cassa e vendere al miglior offerente. E le offerte, indubbiamente, non mancano. Dagli Stati Uniti alla Russia, passando per la Turchia e l’Olanda, per la Spagna e la Francia. Una tradizione in vendita, a volte anche in svendita. Si sono cedute le aziende che producono vini e spumanti, vermouth e bevande analcoliche, latte e latticini, olio e pasta, dolci e insaccati.

Spesso la produzione è rimasta in Italia, perché legata indissolubilmente al territorio. Altre volte no. Perché i nostri illuminati imprenditori avevano già intrapreso da tempo la strada che portava all’utilizzo di materie prime in arrivo dall’estero. Anche in quei settori dove l’Italia non avrebbe problemi di produzione agricola. Si sono distrutti gli agrumenti al Sud per importare gli stessi agrumi, spesso di minor qualità, da Israele o dall’Africa del Nord. Le quote latte hanno creato autostrade per il latte in arrivo dall’estero e, dietro al latte, sono arrivati i maiali per i prosciutti “italiani”.

D’altronde la classe dirigente italiana aveva già rinunciato, da decenni, alla proprietà della maggior parte delle grandi catene di distribuzione. Con il risultato di favorire, nella Gdo, la presenza di prodotti in arrivo dai Paesi dei proprietari delle catene, francesi e tedeschi innanzi tutto. Obbligando contadini ed allevatori italiani a vendere la produzione a cifre irrisorie pur di poter lavorare con la Gdo. Che , ovviamente, ricaricava i prezzi a dismisura.

Ma è inutile illudersi sulla capacità di questa classe dirigente di comprendere che, attraverso il cibo, aumenta il controllo del capitale straniero sull’economia italiana e sui comportamenti quotidiani degli italiani. L’Italia è in saldo, garantisce Renzi. E gli acquirenti non mancano.

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leo Junior

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