Il Messico vuole silenziare la musica dei narcos. Come, però, non è ben chiaro. In Parlamento giace una proposta di legge del deputato Arturo Ávila Anaya, che intenderebbe imporre sanzioni penali a chiunque promuova e giustifichi condotte criminali attraverso film, serie televisive, musica e videogiochi. Tuttavia non sembra proprio che l’idea di Ávila Anaya sia in grado di unire un numero sufficiente di colleghi per tramutarla in legge federale, anche se a livello locale alcune amministrazioni hanno già applicato rigide limitazioni. Il governatore di Michoacàn, ad esempio, ha vietato certi concerti pubblici, e lo stesso hanno fatto alcune amministrazioni locali negli Stati di Jalisco, Aguascalientes, Querétaro e Guerrero.Il tema, comunque, è molto dibattuto ed è intervenuta persino la presidente Claudia Sheinbaum (in foto), sottolineando che il problema esiste ed è serio. «La mia opinione è che non si debba proibire, bensì promuovere un altro tipo di musica, perché i divieti non sono mai positivi. A volte una proibizione è necessaria, ma dal mio punto di vista è meglio educare i giovani a rifiutare un certo tipo di musica».
Ma qual è questo genere di canzoni che toglie il sonno ai politici messicani? La presidente, eletta nel 2024 come erede di Antonio Manuel López Obrador alla guida di una coalizione di sinistra, allude al cosiddetto “narcocorrido”, una forma di musica popolare tipica del Nord del Paese che negli ultimi anni è diventata una specie di inno ai boss dei narcos e alla vita violenta e avventurosa dei gangster che ogni giorno uccidono e muoiono nella sanguinosa guerra per il controllo del narcotraffico. A leggere i nomi dei gruppi musicali più famosi e ad ascoltare le loro canzoni su YouTube sembrano soltanto innocue folk-band che suonano ballate popolari (incrocio tra polka e valzer) con grande uso di trombe e chitarre e fisarmonica, ma se si presta attenzione ai testi c’è da rimanere agghiacciati. Ad esempio Los Alegres del Barranco, un gruppo musicale di Sinaloa (uno degli Stati del nord più infestati dai narcos) in un recente concerto hanno cantato una canzone che recitava la strofa «Soy el dueño de Palenque, cuatro letras van al frente», laddove il padrone di Palenque sarebbe il super boss Nemesio Oseguera Cervantes detto “El Mencho” e le quattro lettere alludono al Cartel Jalisco Nueva Generación, uno dei più potenti e sanguinari del Messico. E se ciò non fosse chiaro a sufficienza, sullo schermo dietro ai musicisti scorrevano le immagini del Mencho (nella foto il gruppo con l’immagine del capo narco alle spalle).
Insomma, una chiara ed evidente esaltazione di uno dei massimi ricercati dalla giustizia messicana e dalla DEA statunitense. Un altro famoso “narcocorrido” de Los Tucanes di Tijuana, invece, celebra un anonimo capo militare del narcos con queste parole: «Era un uomo davvero coraggioso, si prendeva gioco della polizia, aveva molta gente sotto di lui perché lo richiedeva la sua attività. Potente e anche molto allegro, era conosciuto come il Diavolo. Il suo nome risuonava dovunque e suonava anche il suo kalashnikov. Ogni raffica si portava dietro un nome, non sbagliava era molto preciso».
I difensori di questo genere musicale sostengono che le canzoni popolari messicane celebrano da sempre il tema dei fuorilegge, ma certo si nota una certa differenza tra i “corridos” tradizionali che esaltavano le gesta dei contrabbandieri e quelli di oggi, che innalzano ad eroi i criminali colpevoli di vere e proprie stragi. Non più tardi di due giorni fa nel Sinaloa la faida per il controllo del Cartello del Pacifico, quello che era comandato dal “Chapo” Guzman, ha portato al massacro di sedici uomini, quattro dei quali sono stati appesi senza testa a un ponte autostradale.
Dato il grande successo del “narcocorrido”, a volte sono gli stessi capi dei narcos che ingaggiano i gruppi musicali per comporre canzoni dedicate a loro e per farle eseguire durante le loro feste, ma ormai con YouTube, Spotify e le altre piattaforme web la musica legata al crimine è uscita dagli ambienti dei narcos e sta contagiando tutto il Messico, arrivando fino alle comunità messicane sparse negli Usa. In certi casi i concerti servono anche a riciclare denaro sporco. Un rapporto, quello tra musicisti e boss, che può anche diventare pericoloso: tutti ricordano il caso di un famoso cantante, Chalino Sánchez, conosciuto all’inizio degli anni Novanta come “il re del corrido” e fortemente compromesso con i cartelli della droga: per ragioni mai del tutto chiarite si salvò miracolosamente da un attentato ordito dai narcos ma alla fine, nel 1992, venne assassinato.
I gruppi di “narcocorrido” hanno un grande successo artistico ed economico, ma spesso sono vittime di vendette e regolamenti di conti fra bande rivali: un certo Peso Pluma è stato minacciato di morte per impedirgli di esibirsi a Tijuana, mentre nel 2006 Valentìn Elizalde venne ucciso per aver celato nelle strofe delle sue canzoni messaggi cifrati per un cartello della droga. «Noi ci limitiamo a raccontare storie popolari che da sempre esistono nella nostra cultura», si sono difesi Los Alegres del Barranco, ai quali comunque è stato negato il visto d’ingresso negli Stati Uniti.
Ora, dopo il pronunciamento del governo federale e di molto governi statali, il dibattito sta dividendo anche lo stesso mondo musicale legato al “narcocorrido”. Di recente il cantante Luis R. Conríquez, che in passato si era distinto per un repertorio ricco di riferimenti al mondo narco, ha accolto l’invito delle autorità e si è rifiutato di cantare in certe canzoni in un concerto, con il risultato che è stato insultato e quasi aggredito dal pubblico. Viceversa un altra “star” del genere, Natanael Cano, ha tuonato dai social contro la censura e contro misure che a suo parere limitano l’espressione artistica: «Vogliono oscurare il sole con un dito», ha scritto.
Sulle ragioni del successo, anche commerciale, del “narcocorrido” si è molto discusso, ma stringi stringi la sintesi più efficace è quella del sociologo Josè Manuel Valenzuela: «L’ammirazione per il mondo dei narcos deriva dal fatto che per molte persone l’illegalità sembra un’opzione accettabile per prendere l’ascensore sociale. È un mondo pericoloso e sanguinario, ma a molti sembra percorribile per arrivare in fretta al successo economico. Si potrà smontare il mito dei narcos soltanto quando non ci sarà più questa profonda diseguaglianza sociale». Barbadillo ha chiesto un parere anche a Paco Ignacio Taibo II (nella foto a sinistra), il più famoso scrittore noir messicano, che nelle scorse settimane si trovava in Italia per partecipare ad alcuni festival letterari. «La cultura dei narcos ha radici profonde», spiega, «perché in certe comunità il capo di un cartello è visto come un benefattore, finanzia le feste popolari, trova posti di lavoro… Il governo di Claudia Sheinbaum sta proseguendo la politica di contrasto al narcotraffico già avviata dal presidente López Obrador», prosegue Taibo II, «cioè combattere i cartelli senza però usare la censura. Non è una campagna di proibizione, ma di allerta culturale: non si può accettare l’apologia esplicita e pubblica dei criminali. La sfida è di promuovere un tipo di musica popolare con contenuti diversi e molti artisti e gruppi musicali hanno già accettato questa proposta».
Secondo Paco Ignacio Taibo II, la guerra al narcotraffico non può essere portata avanti soltanto sotto il profilo militare: «È una battaglia anche economica e culturale», sostiene. E gli fa eco Paloma Saìz Tejero, direttrice della Fiera del Libro di Città del Messico: «Quel tipo di musica va proibita almeno nei luoghi pubblici».