Giornale di Bordo. Rifondare il centrodestra? Sì ma partendo da scuola e cultura

L'elezione di Sergio Mattarella ha lacerato il vecchio fronte composto d Fi, Fdi e Lega. che fare? Ricostruire partendo da idee e categorie

FuturBalla

Come, credo, la maggior parte dei lettori di questo sito, ho appreso con disappunto la notizia della riconferma di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Rispetto l’uomo sotto il profilo morale, sono consapevole che il suo cursus honorum è stato accompagnato da un’intima sofferenza per una tragedia familiare; né posso negargli doti di competenza giuridica e di decoro personale sconosciute a larga parte della nostra classe dirigente. Ma il suo retroterra politico è molto diverso dal mio: Mattarella appartiene a quella categoria, purtroppo numerosa, di democristiani che gioirono della caduta del Muro di Berlino non tanto perché essa avesse dimostrato la menzogna del comunismo, ma perché, ponendo fine alla guerra fredda, avrebbe consentito quel compromesso storico con gli eredi del Pci che il “fattore K” aveva sino allora impedito.

Divisioni antiche

Detto questo, confesso di non condividere lo scandalo di chi scorge, in queste elezioni presidenziali, una dimostrazione della crisi del centrodestra e dell’esigenza di una sua rifondazione. Che l’“area vasta” compresa tra Fdi e Forza Italia, passando per la Lega, abbia bisogno di essere rifondata è vero, ma non perché non è riuscita a giocare un cavallo vincente nella corsa per il Quirinale. I candidati proposti dal centrodestra sono state donne e uomini di alta levatura culturale o istituzionale: dal giudice Carlo Nordio a Marcello Pera, dalla Moratti alla Casellati, per tacere di una figura apicale della Farnesina come la dottoressa Elisabetta Belloni. Certo, se avesse avuto il coraggio di votare compattamente un candidato unitario, qualche chance in più ci sarebbe potuta essere, ma i numeri comunque sarebbero mancati.

Il ruolo del Pd

A impedire l’elezione di un candidato di centrodestra è stato il machiavellico ostracismo del Pd, consapevole che, visto l’equilibrio di forze fra i due schieramenti, la conseguente condizione di stallo avrebbe favorito la riconferma del presidente uscente. Infierire sull’incapacità di evitare questa empasse da parte dei leader di centrodestra sarebbe ingeneroso; oltre tutto il ritorno di Mattarella al Quirinale ha scongiurato un pericolo ancora maggiore: quello di vedere “istituzionalizzato” per un settennato Draghi, il cui ingresso nell’agone politico era stato presentato come una presenza “a tempo”.

La crisi politico-culturale delle destre

Se sarebbe ingeneroso colpevolizzare più di tanto il centrodestra per non aver saputo imporre un proprio candidato, è doveroso  riconoscere che la crisi di quest’area politica risiede altrove, sul terreno politico-culturale più che su quello politico-istituzionale. E questo induce a preoccupazioni ben più serie su quelle che saranno, fra poco più di un anno, le “vere” elezioni, ovvero le consultazioni che porteranno al rinnovo del Parlamento.

Il centrodestra non ha ancora capito che non basta deprecare l’egemonia culturale della sinistra, inveire contro gli insegnanti, che “sono tutti comunisti” (a costo di far spostare a sinistra anche quelli che non lo sono, e non sono una minoranza, com’è avvenuto per i magistrati), appagarsi di vedere pubblicata in prima pagina o trasmessa in prima serata l’intervista al leader di turno, scandalizzarsi se per la giornata del ricordo vengono imbrattate le lapidi dei martiri delle Foibe, o magari, tanto per finire in prima pagina, proporre l’intitolazione di una strada a Giorgio Almirante.

Un lavoro lungo di costruzione

È necessario un lavoro ben più umile e faticoso, forse meno redditizio in termini di preferenze, ma alla lunga più remunerativo, almeno in termini di consenso. Occorre finanziare ricerche storiche, incentivare produzioni televisive e cinematografiche, lavorare sull’“immaginario”, aiutare a crescere giovani studiosi (e nell’ambito accademico si cresce soltanto se si pubblica, e per pubblicare ci vogliono il tempo e i mezzi per elaborare ricerche documentate), e soprattutto affrontare seriamente il problema della scuola, che si sta trasformando sempre di più in un’enorme fabbrica del consenso della sinistra presso le nuove generazioni. Non a caso l’elevazione dell’obbligo scolastico a diciotto anni è uno dei cavalli di battaglia del Pd, come la concessione del diritto di voto ai sedicenni.

La proposta di legge sulle “competenze non cognitive”

Come ennesimo esempio di questa miopia del centrodestra dinanzi all’utilizzazione della pubblica istruzione quale strumento per il condizionamento non più solo politico, come negli anni Settanta, ma psicologico delle masse, suggerisco la lettura dell’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia uscito sul “Corriere della Sera” di venerdì 28 gennaio sotto il titolo Perché la scuola non deve essere luogo di controllo e di omologazione. L’autore denuncia l’approvazione da parte della Camera di una proposta di legge mirata “all’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico”.

Un’espressione dietro il cui evidente ossimoro (si può essere competenti in qualche materia senza conoscerla? Si può fare una versione dal latino senza aver declinato il rosa rosae?) si nasconde il tentativo di fare della scuola una fucina di “uomini nuovi” (vecchia aspirazione dei regimi totalitari) attraverso non tanto l’indottrinamento ideologico (c’è anche quello, ma è un’altra cosa) quanto l’educazione alla “stabilità emotiva”, all’“empatia”, alla “resilienza”, in sostanza all’adattamento sociale.

La proposta di legge è stata approvata all’unanimità dalla Camera: conseguenza di pudiche astensioni, di lettura superficiale degli atti, o – da parte di alcuni esponenti del centrodestra come Valentina Aprea, storica referente di Forza Italia per la scuola – di innata simpatia per tutto quello che è destabilizzante per l’assetto tradizionale dell’istruzione, meglio se espresso con barbarismi (non a caso nel testo si fa un gran parlare di soft skills e problem solving)?

Nel migliore dei casi  la proposta di legge, se approvata anche dal Senato, si risolverà nell’ennesimo “piano nazionale per l’offerta formativa” con cui imporre agli insegnanti la corvée di nuovi corsi di aggiornamento, ovvero d’indottrinamento; nel peggiore si tradurrà in un tentativo di far entrare dalla finestra quella ideologia del gender che con la bocciatura della legge Zan non è riuscita a entrare dalla porta. La sinistra forse avrebbe avuto, in questo Parlamento, i numeri per imporla comunque; ma il fatto che sia passata all’unanimità costituisce un motivo di riflessione sull’effettiva capacità del centrodestra di guardare al futuro delle giovani generazioni, da cui escono per altro i futuri elettori. Una sconfitta meno eclatante, ma nel lungo termine non meno dannosa di quella nella corsa al Quirinale.

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Enrico Nistri

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