L’intervento. Perché non è tempo di nostalgie per il nucleare

La riflessione critica ecologista entra nel dibattito sull'approviggionamento energetico italiano

Scorie nucleari

Sant’Agostino diceva che errare humanum est, perseverare autem diabolicum, cioè commettere degli errori è umano, ma continuare a commetterli è diabolico. Questa massima si attaglia perfettamente ai nostalgici del nucleare che con superficialità, e a volte con alterigia, ritengono che il nucleare possa risolvere il problema energetico: tra questi, moderati di tutte le risme, settori della sinistra e della destra affaristico-industriale, “mostri sacri” della scienza come Antonino Zichichi. Le ultime dichiarazioni del ministro della Transizione (o piuttosto della transazione) ecologica Cingolani si sposano alle elocubrazioni di esperti del calibro di Franco Battaglia, ai ragionamenti nazionalisti della destra radicale, alla mozione presentata dal parlamentare di centrodestra Maurizio Lupi alla Camera dei deputati per riproporre la costruzione di centrali nucleari in Italia, ovviamente di nuovo tipo. 

L’impossibile nucleare sicuro

C’è chi millanta un nucleare sicuro di 4^ generazione che però dev’essere ancora messo alla prova, mentre Chernobyl e Fukushima dimostrano che la sicurezza è un miraggio. Scrive a questo proposito Edo Ronchi, presidente della fondazione per lo sviluppo sostenibile:

«Non ricordo di aver mai sentito dire dai sostenitori delle centrali nucleari che la 1^, la 2^ o la 3^ generazione fossero insicure. Anzi per ogni nuova generazione di centrali nucleari, i costruttori hanno sempre dichiarato di aver risolto i problemi di sicurezza con miglioramenti tecnologici. Nella citata pubblicazione del 2010 c’è un intero capitolo dedicato al “Perché il nucleare è una fonte sicura”, compreso un paragrafo dedicato alla loro sicurezza ”da calamità naturali”. Peccato che in Giappone non l’abbiano letto e che l’anno successivo vi sia stato il disastro nucleare di Fukushima» (in Huffington post, Invece di accelerare le rinnovabili, in Italia c’è chi vuole tornare alle centrali nucleari). 

C’è chi invoca l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica e tecnologica dell’Italia dall’estero, cioè dal petrolio, dal gas e dal carbone (per le fonti fossili) e dal litio, dal cobalto e dalle terre rare (per la produzione dei componenti delle fonti rinnovabili), dimenticando stranamente che anche l’uranio non si produce in Italia, che di contro è ricca di sole e di vento! 

C’è poi chi sostiene che il nucleare sarebbe “pulito”, perché non produrrebbe emissioni climalteranti, ma ignora che non esiste energia pulita, ma solo fonti di energia con diversi impatti ambientali, e il nucleare, anche quello di 4^ generazione, utilizza pur sempre la fissione dell’uranio «che genera radioattività e rifiuti radioattivi, oltre che pericolosi, difficili da custodire in sicurezza e con costi elevati di gestione. In Italia, pur avendo pochi rifiuti radioattivi ad alta attività, non siamo ancora riusciti a stoccarli in un sito sicuro: dopo decenni di iniziative e discussioni, non è ancora stato costruito, anzi nemmeno localizzato».

Addirittura si sostiene che la nuova tecnologia nucleare consentirebbe di ridurre la quantità di rifiuti radioattivi prodotti e si fa l’esempio della Francia dove si produrrebbero appena 11 grammi procapite di rifiuti ad alta radioattività. Beh, a dirlo così, sembra una quisquilia, ma 11 grammi pro capite significa, per una popolazione di 65 milioni di abitanti, circa 715 tonnellate di rifiuti radioattivi e, di grazia, vi par poco?  dove li mettiamo? Continueremo ad inquinare la terra per migliaia di anni? 

C’è lo stucchevole argomento che siamo circondati da centrali nucleari e allora tanto vale… Un corno! «Teniamo presente che il nucleare è una tecnologia in declino: nel 2020 le centrali nucleari hanno generato  il 10% dell’elettricità mondiale, meno del 2010, quando ne generavano il 12,8%, mentre, sempre nel 2020, con le fonti rinnovabili è stato generato il 28% dell’elettricità mondiale, con una  crescita dell’80% rispetto al 2010, quando ne generavano il19,7% (IEA ,WEO 2021)».

Non conviene

C’è infine il capitolo dei costi economici. Siamo proprio sicuri che l’energia prodotta dal nucleare costi meno? Diamo la parola ancora una volta ad Edo Ronchi: «Quanto costerà l’elettricità generata con le centrali nucleari di 4^ generazione?  Il costo energetico livellato (LCOE) – un metro di misura che consente di confrontare il costo medio dell’energia prodotta dai diversi tipi di impianto – nell’Unione Europea nel 2020 per gli impianti fotovoltaici è stato di 55 dollari per MWh, per quelli eolici di 50 dollari per MWh, per quelli a gas di 110 dollari per MWh, mentre per le centrali nucleari è stato di 150 dollari per MWh  (IEA,WEO 2021). Il nucleare è la tecnologia più cara per produrre elettricità: ritorno al nucleare significa anche bollette elettriche più care».

Ma che cosa unisce, al di là delle apparenti differenze ideologiche, i fautori del ritorno al nucleare? Il non voler rinunciare a un modello di economia e di società nato poco più di due secoli fa con la rivoluzione industriale, che si è imposto in tutto il mondo a discapito delle altre culture al punto da apparire come un progresso, anzi il progresso! Puntare sulla deleteria volontà di potenza nei confronti della natura vivente, sulle “origini faustiane e futuriste dello spirito europeo” significa non vedere il vizio d’origine della crisi che viviamo. 

È vero che le fonti rinnovabili da sole non bastano al fabbisogno energetico. Sennonché,

«non si può inneggiare all’ambientalismo e, nello stesso tempo, alla crescita del Pil. Sono incompatibili. […]. La sola cosa seria da fare è ridurre i consumi e quindi la produzione. Ma da questo orecchio, essendo malati di otite permanente, nessuno ci sente, né i cosiddetti Grandi della Terra né i comuni cittadini» (Massimo Fini, in Green incompatibile col Pil).

Stiamo insomma dentro un secchio con i buchi e prima di pensare a come produrre l’energia che ci serve, dobbiamo chiudere i buchi del secchio, riducendo sprechi e inefficienze e soprattutto cambiando stile di vita. È importante, come scrive Alain de Benoist,

“integrare la logica del vivente nell’analisi economica. L’ecologia si sforza di farlo partendo dal concetto di limite […]. Ovviamente si può sempre discutere il valore puntuale di questa nozione di limite (chiedendosi ad esempio in che misura la cappa di ozono sia stata intaccata dall’attività umana, se la foresta tropicale sia o no il vero “polmone del Pianeta”

oppure se , dal punto di vista della demografia mondiale, ci si sta avvicinando al livello di saturazione), ma il principio in sé sembra indiscutibile: non viviamo nell’illimitato. Uscire dal produttivismo significa dunque far proprio il concetto di limite, cioè smettere di identificare il meglio con il più, l’ottimo con il massimo, la qualità con la quantità” (Alle radici della sfida ecologica, in Le sfide  della postmodernità). 

Siamo pessimisti? Nient’affatto. «Pensare che questa civiltà finisca presto è il vero ottimismo, mentre pensare che ci sia “la ripresa” e tutto torni ad andare avanti come prima è il vero, tragico pessimismo» (Guido Dalla Casa).

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Sandro Marano

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