Il punto (di M.Tarchi). Il (presunto) ritorno del pragmatismo nella politica mondiale

Una tendenza diffusa porta un buon numero di commentatori a etichettare gli anni passati come una bizzarra stagione di irrazionalità della politica, espressa nella turbinosa ascesa del populismo. Non c’è da stupirsi che dagli stessi pulpiti ora venga recitato il ritorno della figura dell’esperto in cui la razionalità riprende finalmente il sopravvento. Ma c’è ragione di dubitare di questa lettura della situazione che stiamo vivendo? Forse sì

Il presidente Usa Joe Biden

Una tendenza diffusa – nel giornalismo, ma anche nel mondo accademico – porta un buon numero di commentatori a etichettare gli anni che sono intercorsi fra la crisi economica esplosa nel 2008 e la crisi sanitaria tuttora in atto come una bizzarra stagione di irrazionalità della politica. Questa stagione si sarebbe espressa soprattutto nella turbinosa ascesa del populismo in varie zone del pianeta e avrebbe avuto il suo culmine negli “sconsiderati” eventi elettorali che hanno portato all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, all’avvento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e alla nascita del governo giallo-verde in Italia. Chi la pensa in questo modo identifica il populismo con la demagogia, l’improvvisazione, l’eccesso di promesse irrealistiche, la paura della novità, l’isolazionismo e chi più ne ha (di epiteti e argomenti squalificativi) più ne metta.

Date queste premesse non c’è da stupirsi che dagli stessi pulpiti ora venga recitato, dopo la lunga serie di scomuniche e messe in guardia sull’oscurantismo avanzante sulle ali dell’ignoranza, un sermone di tutt’altra intonazione, che vede in alcuni eventi recenti, come l’elezione di Joe Biden e la chiamata alla guida dell’esecutivo italiano di Mario Draghi, ma anche il ritorno al centro della scena mediatica della figura dell’esperto, ora rappresentato sotto le vesti (o meglio, il camice) del virologo, l’alba di una nuova era. In cui la razionalità riprende finalmente il sopravvento, le urla si smorzano e il pragmatismo ritrova il ruolo che gli spetta.

Realpolitik

C’è ragione di dubitare di questa lettura della situazione che stiamo vivendo? Forse sì. E non solo perché il cambio di scenario è avvenuto sotto la spinta di un evento eccezionale come l’epidemia di Covid-19, che ha congelato dinamiche che sembravano destinate a durare a lungo, ma difficilmente potrà impedirne il ritorno, forse con forza ancora maggiore di prima, quando si smetterà di contare contagi, ricoveri e morti e si dovrà fare i conti con il disastro di ampi settori economici e produttivi di molti Paesi. Ma anche perché su più di un aspetto del presunto ritorno alla realpolitik c’è parecchio da discutere.

Partiamo dal caso statunitense perché è quello che, si dice e si pensa, dovrebbe dare l’impronta a una più ponderata gestione dei focolai di crisi che attraversano il nostro tempo. Se ci si riferisce a un approccio meno confuso al contrasto della pandemia, non c’è dubbio che la musica è cambiata. E forse si può sperare in un’attenuazione degli attriti con l’Iran in materia di accordi sul nucleare. Ma è difficile scambiare per pragmatismo i decisi attacchi sferrati dal nuovo inquilino della Casa Bianca contro Cina e Russia. Se Trump aveva aperto con i cinesi un contenzioso commerciale a suon di dazi, Biden ha sfoderato la temibile arma dei diritti umani, partendo dal caso uiguro; e si sa, visti i precedenti, dove può portare un braccio di ferro su questo tema. Quanto a Putin, arrivare a definirlo “un assassino” e pronosticare che “pagherà il prezzo” delle sue presunte interferenze sulle elezioni americane, non sembra un segnale distensivo. Siamo già arrivati alla guerra delle parole ed è presumibile che ci si fermerà lì. Ma quanto a pragmatismo, si è visto di meglio.

Del resto, appena eletto Biden aveva parlato a chi vuole intendere, annunciando l’intenzione di riportare gli States a “guidare il mondo”. E l’Unione europea si è affrettata a rassicurarlo che farà la sua parte per accontentarlo. Si può interpretare questo atteggiamento come politicamente realistico, ma sarebbe meglio riconoscerlo per quello che è: un assoggettamento alle logiche della geopolitica in nome dell’atlantismo. Poco resta da dire sull’attuale versione europea del presunto pragmatismo, ovvero la riproposizione dei governi tecnici come antidoto ai mali apparentemente incurabili della politica partitocratica. La medicina raramente ha funzionato. E rischia di essere anche questa volta un palliativo. (dalla rivista Formiche)

*Professore di Scienza politica e di Comunicazione politica e analisi e teoria politica presso l’Università di Firenze

Marco Tarchi*

Marco Tarchi* su Barbadillo.it

Exit mobile version