Der Arbeiter 4.0. Il capitalismo oltre la crisi: restituire una visione politica all’economia

La rubrica di Mario Bozzi Sentieri sulle nuove frontiere dello sviluppo, tra cambio di passo del capitale, rilettura dell'economia e limiti per la tecnica

Cercare un mondo a più dimensioni oltre la linea economicista

Del libro di Mariana Mazzucato (Non sprechiamo questa crisi, Laterza, 2020) abbiamo già fatto cenno. L’invito a non “sprecare” la crisi pandemica e, più in generale, le debolezze sistemiche, in campo economico-sociale e politico, non va lasciato cadere. Evitando però di cadere nelle facili banalizzazioni. A cominciare dall’idea della Mazzucato di “fare capitalismo in modo diverso”. Il tema non è “riformare” il capitalismo, responsabile delle  disuguaglianze crescenti, delle “pandemie” ambientali, di una globalizzazione dissennata. Né rispondere agli eccessi del liberismo con un richiamo meccanicistico allo statalismo. Per prevenire la crisi – come auspica la Mazzucato – ci vuole ben altro che un generico coordinamento delle attività di ricerca e di sviluppo o un rafforzamento di forme di partenariato pubblico-privato. Nella misura in cui la crisi è sistemica occorre intervenire su più fronti: quello culturale, quello economico-sociale e quello politico, mettendo in discussione i valori che hanno sostanziato, nel corso dei decenni, l’azione dissennata del capitalismo, le forme di rappresentanza proprie dei sistemi politici liberal-capitalisti, lo spazio dato ai corpi sociali e ad organiche forme partecipative, dentro e fuori i luoghi di lavoro. Bisogna – come si diceva un tempo – “andare oltre”.

E allora bisogna avere il coraggio di ridimensionare il primato dell’economia, ritrovare il senso di identità scheggiate, rivendicare eticamente il valore del lavoro, ravvivare l’appartenenza alle comunità.

Non sprecare la crisi significa – in definitiva – ridare un ordine ai principi fondanti il nostro essere Nazione e Stato, partendo da una considerazione di fondo, così fissata da Werner Sombart (in “Il Capitalismo moderno”) :   “L’economia non è il nostro destino; non esiste un sistema di leggi economiche autonome, vale a dire: l’economia non costituisce un processo naturale, ma è sempre stata una creazione culturale scaturita dalla libera scelta degli uomini. Sicché, anche il futuro dell’economia, o di un determinato sistema economico, è rimesso alla libera volontà di uomini”.

Discorso analogo per la tecnica:

“Per avere un reale rapporto con la tecnica – scrive Ernst Jünger (“L’Operaio”) – occorre essere qualcosa di più che un tecnico. Lo sbaglio che non fa tornare i conti quando si tenta di porre in rapporto la vita con la tecnica, è uno solo e il medesimo- quali che siano le conclusioni, di rifiuto o di consenso, alle quali si giunge. Questo errore fondamentale nasce da fatto che si ama porre l’uomo in contatto immediato con la tecnica (…) Ma si approda ad altri giudizi se si riconosce che l’uomo è legato alla tecnica non direttamente, ma indirettamente. La tecnica è il modo e la maniera in cui la forma dell’operaio mobilita il mondo”. 

In sintesi: ritrovare il valore politico dell’economia, ricostruire in questo ambito il ruolo dello Stato, creare le condizioni perché ad esso concorrano le forze sociali e produttive organizzate, ritrovare il valore organico della tecnica, rispetto ad una volontà di mobilitazione.

Molto di più – in definitiva – rispetto ad una visione riformistica del capitalismo e dell’odierno sistema democratico. Se la crisi “non va sprecata” è alle sue ragioni profonde, ben oltre evidentemente l’emergenza Covid, che bisogna guardare. Per poi “affrontarle” con determinazione e lucidità. 

@barbadilloit

Mario Bozzi Sentieri

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