Giornale di Bordo. Quando Alfa Tau era un film, e un pezzo di storia

Dall'assonanza con l'Alfha Tauri, scuderia vittoriosa nel Gp d'Italia, il ricordo di una pellicola che fece discutere

Con l’incedere degli anni l’udito tende a ottundersi, la memoria, soprattutto quella presbite rivolta al passato, si fa più acuta. L’altra sera, sulla spiaggia, mi è parso di sentire un bagnante che inneggiava all’Alfa Tau. In realtà, era l’Alpha Tauri, la vettura trionfatrice al Gran Premio di Monza, impresa cantata da Lorenzo Proietti su questo sito.

Lo storico film

Ma per me l’Alfa Tau(ri) non era una vettura di formula uno, ma un film. Una pellicola dedicata nel 1942 alle vicende del sommergibile Enrico Toti, prodotta dalla Scalera e diretta dal comandante e regista pugliese Francesco De Robertis, che era già stato stretto collaboratore di Renzo Rossellini in altri film dedicati alle vicende dei nostri marinai durante l’ultima guerra. Avaro di retorica, attento anche alle vicende degli umili marinai, “Alfa Tau!” anticipava già la poetica neorealista; non a caso era interpretato da attori non professionisti, con l’unica eccezione di Giuseppe Addobbati, che durante la guerra si sarebbe rifatto una verginità con lo pseudonimo di John Douglas e sarebbe arrivato anche a ottenere una parte nel Conformista di Bertolucci, in veste di padre di Marcello Clerici/Trintignant. A interpretare il comandante del sommergibile era del resto un “vero” ufficiale di Marina, il capitano di corvetta Bruno Zelik, che poco dopo avrebbe trovato la morte e una medaglia d’argento alla memoria inabissandosi col sommergibile Scirè nelle acque del Mediterraneo Orientale, in prossimità di Haifa.

Nonostante l’assenza di retorica bellicista e gli scarsissimi riferimenti al fascismo – la Regia Marina, committente della pellicola, teneva com’è noto le distanze dal regime – “Alfa Tau!” subì un lungo ostracismo dalla censura democratica, e solo a prezzo di lunghe insistenze da parte della Scalera poté tornare nelle sale nel 1948, ma epurato di ogni riferimento littorio e persino del grido “viva il Re” e dei fotogrammi in cui sventolava la bandiera italiana con lo stemma sabaudo. A concedere l’autorizzazione fu l’allora sottosegretario per lo Spettacolo presso la presidenza del Consiglio Giulio Andreotti.

Le fortune della pellicola non erano tuttavia destinate a finire lì. Ed è qui che la storia di Alfa Tau si incista nelle mie memorie adolescenziali. Nella primavera 1969 la Rai decise di trasmettere la pellicola, ma preceduta dall’introduzione di un ex partigiano, di matrice azionista, Fernaldo (sic!) Di Giammatteo. Di Giammatteo era un critico cinematografico di valore, ma schierato, che non perse occasione di manifestare il suo disappunto perché, “proprio nei giorni in cui si celebra la Resistenza”, fosse presentato un film di propaganda bellica. La scelta della Rai suscitò aspre polemiche nell’ambiente combattentistico, di cui si rese interprete il deputato del Msi Beppe Niccolai, in un’interrogazione che fu discussa a Montecitorio il 28 maggio 1969 e che oggi è reperibile, col relativo contraddittorio, sia sul sito della Camera, sia, più agevolmente, all’indirizzo internet http://www.beppeniccolai.org/RAI.htm. A parte i passaggi, tipici della dialettica neofascista del tempo, in cui Niccolai contestava i precedenti littori dei suoi avversari, l’intervento è interessante per la questione purtroppo sempre attuale che solleva: il dovere dell’obiettività della Televisione di Stato.

“Se ‘Alfa Tau’ – sostenne Niccolai – fosse stato preceduto da un dibattito aperto a persone di opinioni diverse, nessuna protesta si sarebbe levata. Invece no, si è data la parola al critico filo-comunista Di Giammatteo e solo da lui sono piovuti gli insulti. E su che cosa sono piovuti gli insulti? Ecco la domanda. Sugli stivali? Sulla retorica? Sulle divise? Su tutto quel mondo che l’antifascismo ama dipingere come carico solo di bolso ritualismo e di ridicolo? E non direi, signor ministro. Il regista del film, il De Robertis, era un ufficiale di marina, il protagonista del film, il triestino Bruno Zevich, era un ufficiale di marina, non riposa in via Teulada su nessuna poltrona e non ha alcun cachet, è scomparso in mare con tutto il suo equipaggio al comando del sommergibile Scirè in un’azione di mezzi di assalto (…). Tutto ciò è ridicolo, tutto ciò merita il sarcasmo, l’ironia, l’offesa del signor Di Giammatteo? La RAI-TV non ha proprio altri argomenti da pescare nel ventennio fascista per far ridere gli italiani? Deve proprio andare a frugare nel mondo del mare?”

Non mancò un vivace contraddittorio, da parte soprattutto dell’infaticabile Pajetta. E fra tante obiezioni a Niccolai almeno una giusta ve ne fu: l’accenno fatto, da un deputato non identificato, agli ammiragli Campioni e Mascherpa, che furono fatti fucilare dopo un processo farsa (il cosiddetto processo degli ammiragli) per essersi rifiutati di prestare giuramento alla Repubblica Sociale. Fu una triste pagina della nostra storia: neppure essa, come l’eroismo dei marinai dell’“Enrico Toti”, merita di essere rimossa.

Enrico Nistri

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