Caro Salvini, Berlinguer è uno “sconosciuto” per i sottoproletari che votano i sovranisti

La riflessione di Enrico Nistri dal realismo di Togliatti agli itinerari dei fascisti nella repubblica post '45

Salvini e Berlinguer

Salvini come erede di Berlinguer

L’articolo di Veneziani su Salvini e Berlinguer ha suscitato un alto numero di vivaci commenti, come quello mio sul gatto mangiato da un richiedente asilo. Sarei tentato di cavarmela con una battuta, osservando che a quanto pare per mobilitare i lettori è necessario parlare di animali o di comunisti, ma le questioni sollevate mi paiono piuttosto importanti. Credo che Veneziani abbia avuto ragione a criticare Salvini, la cui mossa è chiaramente strumentale, volta a cattivarsi le simpatie di quell’elettorato proletario, o sottoproletario, che si sente (giustamente) tradito dalle sinistre. Si tratta però di un elettorato in prevalenza “under 50”, cui il nome di Berlinguer dice ormai ben poco.
Riguardo alla questione dei rapporti fra il Pci e il (neo)fascismo, la questione è più complessa. Togliatti, che fu il politico più cinico, ma anche più intelligente, dell’Italia repubblicana, capì almeno tre cose: che in un paese cattolico non si poteva andare al governo con una politica anticlericale, e votò l’articolo 7 della Costituzione, scandalizzando molti dei suoi parlamentari; che mettersi contro gli ufficiali avrebbe avuto conseguenze disastrose come negli anni ’20, e mise da parte l’antimilitarismo del socialismo massimalista; e che in una nazione in cui il regime aveva raggiunto punte altissime di consenso non era possibile epurare il 90 per cento dei funzionari pubblici, e varò la famosa amnistia. Accantonando l’antifascismo livoroso e moralistico degli azionisti e di parte del partito socialista (non tanto di un Nenni, quanto di un Pertini), cooptò all’interno del partito buona parte dei quadri intellettuali, politici e, con Di Vittorio, sindacali fascisti. Anche perché, è onesto dirlo, il Pci a differenza del partito d’azione, che era un esercito di ufficiali senza truppa, era un esercito di tanti soldati semplici (mezzadri, braccianti, operai), ma con pochi quadri qualificati.

La figura di Stanis Ruinas

L’operazione “Pensiero nazionale” – la rivista di Stanis Ruinas, pseudonimo di Giovanni Antonio De Rosas, finanziata a lungo dal Pci, e il tentativo di traghettare molti giovani reduci della Rsi nel partito, in nome dell’opposizione alla borghesia e al Patto Atlantico – rientrano in questa logica. Senza di essa regioni come la Toscana o l’Emilia Romagna, un tempo le più fasciste, non sarebbero divenute le regioni “rosse” per eccellenza. Vorrei aggiungere che la stessa nascita del Msi non fu impedita, nonostante la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, proprio per evitare che il partito comunista potesse raccogliere troppi fascisti di sinistra rimasti senza rappresentanza politica.

Fascisti senza Mussolini

È una tematica complessa, su cui rimane fondamentale il saggio di Antonio Parlato Fascisti senza Mussolini (Il Mulino, Bologna 2006). Questa fase si concluse col 1960, quando con la sua istituzionale doppiezza il Pci rispolverò l’antifascismo per far cadere il governo Tambroni, dopo avere fino a pochi mesi prima governato con il Msi in Sicilia nelle giunte Milazzo.
Quanto a Berlinguer e ad Almirante, fra loro esisteva senz’altro un’empatia legata a reciproca stima e penso che fra i momenti più alti della storia della prima repubblica siano stati l’omaggio di Almirante alla salma di Berlinguer, nel 1984, e quattro anni dopo la presenza di Pajetta e di Nilde Jotti ai funerali del segretario del Msi. Era il segno di un passato che voleva passare, e che paradossalmente proprio la crisi della prima repubblica e la caduta del muro di Berlino hanno riproposto negli ultimi decenni.

L’onestà intellettuale di Veneziani

p.s. quanto a Veneziani, non credo che scriva sulla “Verità” per non morire di fame. Ha la sua decorosa pensione da giornalista. Rinunciò a suo tempo a una lucrosa collaborazione al “GIornale” perché non si riconosceva nel berlusconismo dell’ultima ora, e bisogna dargliene onestamente atto.

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Enrico Nistri

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