Giornale di Bordo. Il caso della condanna di Berlusconi e la verità rottamata nei tribunali

Una riflessione che parte dal film "In nome del popolo italiano" di Dino Risi

Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi

Quel brutto vizio di rottamare la verità “in nome del popolo italiano”

Che cosa accomuna le polemiche seguite alla pubblicazione dell’audio choc in cui  Amedeo Franco ammetterebbe che la condanna di Berlusconi sia stata il prodotto di una preordinata strategia e le celebrazioni del cinquantenario della vittoria della Nazionale italiana nella storica partita contro il Brasile? All’apparenza non più di quanto accomuni, per dirla col grande Achille Campanile, gli asparagi e l’immortalità dell’anima. E invece un trait d’union c’è, e non di poco conto. È un vecchio film del 1971, intitolato “In nome del popolo italiano”, regista Dino Risi, sceneggiatori Age&Scarpelli, protagonisti Tognazzi e Gassmann. Una pellicola d’impegno civile, come si diceva all’epoca, che ha come protagonisti un giudice che oggi definiremmo giustizialista (Tognazzi) e un imprenditore spregiudicato (Gassmann), accusato dell’uccisione di una escort. Il magistrato integerrimo vede nel presunto colpevole una sintesi di tutto quello che detesta e occorre aggiungere che l’imprenditore fa di tutto per farsi detestare, costruendosi falsi alibi che il giudice riesce sempre a smontare. È difficile capire quanto nell’inquirente l’amore per la giustizia finisca per lasciare il posto all’odio di classe, ma una cosa non esclude l’altra: gli anni Settanta furono il decennio in cui cominciò a essere teorizzata una giustizia di classe.

Nel finale, però, il doppio colpo di scena. Il magistrato entra in possesso del diario della vittima, che scagiona l’imprenditore, ma cede alla tentazione di bruciarlo abbandonando l’imputato al suo destino. Contribuisce in maniera determinante alla decisione la vista dei tifosi in festa per la vittoria della Nazionale (contro l’Inghilterra, in verità, non contro il Brasile). Quel tifo becero, violento, a tratti teppistico, quella ostentazione di tricolori turba la sensibilità del magistrato, che scorge nei festeggiamenti una manifestazione fascista, tanto da immaginarsi l’accusato intonare la Sagra di Giarabub in uniforme da paracadutista. Gli anni Settanta sono stati un decennio in cui a rivendicare i colori della Patria era solo la destra ed esibire il tricolore era lecito solo in occasione dei mondiali di calcio. Lo stesso tifo sportivo era guardato con sospetto dagli intellettuali; solo i mondiali del 1982, con l’intervento di un “partigiano come presidente” sdoganarono la Nazionale e un po’ anche la Nazione. Non a caso Giano Accame iniziò con la frase “in principio era il pallone” il suo pamphlet Socialismo tricolore.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma il vizio di rottamare la verità pare non sia venuto meno presso qualche magistrato. Con una sostanziale differenza: quelli che al tempo del film di Risi erano i pretori o i Pm d’assalto, ora sono diventati ermellini e hanno preso il posto in Cassazione dei vecchi giudici garantisti, che per il fatto di rispettare la forma del diritto erano demonizzati come “ammazzasentenze”. Le “memorie d’oltretomba” del giudice Amedeo Franco, se fossero confermate dai fatti, lo dimostrerebbero ampiamente. È un segnale inquietante, anche perché quella sentenza cambiò la storia italiana, provocando il distacco di Forza Italia dal governo Letta, con le conseguenze che sappiamo. Non si tratta più di difendere Berlusconi, che può piacere e non piacere. Si tratta di difendere la verità.

p.s. Risi fu un grande regista, perché i suoi film non sono film a tesi, come i romanzi engagés, ma pellicole che riflettono la complessità e l’ambiguità dell’animo umano. Chi volesse vedere o rivedere dopo tanti anni la scena finale di In nome del popolo italiano, può utilizzare come ho fatto io per rinfrescarmi la memoria l’indirizzo internet https://www.themacguffin.it/old-movies/in-nome-del-popolo-italiano/

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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