Giornale di Bordo. Montanelli e l’abbaglio iconoclasta dei censori

Fa riflettere che la vernice sia stata versata sulla statua non di notte, ma di sabato pomeriggio, quando i giardini erano frequentati, e che nessuno abbia osato protestare

Statua di Montanelli danneggiata

La rivista Sentinella d’Italia

Quando ero poco più di un ragazzo, di sentinelle impegnate in politica ce n’era una sola. Si chiamava Antonio Guerin, era un ex bancario di Monfalcone che dirigeva una piccola casa editrice e una rivista intitolata, appunto, “Sentinella d’Italia”. Guerin, che da giovane aveva militato nelle brigate nere e non faceva mistero delle sue idee filofasciste, era un fanatico non privo di un certo greve senso dell’umorismo, che dispiegava nelle polemiche imbastite con il suo giornaletto. Una volta, per esempio, si scontrò con Adelina Tattilo, femminista storica di area socialista, e anche editrice di riviste considerate all’epoca pornografiche, come Men e Playmen, nonché di pamphlet favorevoli all’uso della cannabis. Per tacitarlo, la Tattilo non trovò di meglio che invitarlo a ringraziare Togliatti, che con l’amnistia l’aveva rimesso in libertà. Al che Guerin, posato e quasi timido nella vita privata (ricavo l’informazione dal “coccodrillo” apparso sul “Piccolo” dopo la sua morte), ma feroce quando prendeva la penna in mano, le replicò che, se non fosse stato un gentiluomo, l’avrebbe a sua volta invitata a ringraziare la senatrice Merlin, che abolendo le case chiuse l’aveva rimessa in circolazione.

Julius Evola su Playmen

La Tattilo non replicò: era una donna di mondo (non una mondana, come alludeva il suo contraddittore): tra l’altro aveva pubblicato su Playmen persino un’intervista a Julius Evola di Enrico de Boccard, altro fascista non pentito. Per di più, chiedere risarcimenti milionari non era di moda. Del resto, se anche li avesse ottenuti, cosa avrebbe potuto pignorare a Guerin, se non qualche medaglione di Mussolini, molte copie del Mein Kampf tradotte e pubblicate alla macchia, e la foto del duce, beni difficilmente negoziabili? Queste erano cinquant’anni fa le sentinelle della politica italiana, esperte nell’arte della preterizione ma incapaci di tenere i conti: Guerin morì povero, nel 2009, in un alloggio Erp faticosamente ottenuto, dopo essere sopravvissuto con la sola pensione sociale.

La statua di Montanelli oltraggiata

Il caso Montanelli

Oggi siamo passati dalla sentinella di Monfalcone ai sentinelli di Milano, con un salto di gender si spera meno esiziale del salto di specie che pare abbia prodotto il Coronavirus. Meno provvisti di humour rispetto a Guerin, e ovviamente schierati sul fronte opposto, ne condividono però la faziosità e il gusto della polemica. Il guaio è che mentre l’ex bancario di Monfalcone non era preso sul serio da nessuno, nemmeno dal Movimento sociale, che lo riteneva troppo estremista, i sentinelli milanesi trovano ampia visibilità sulla stampa e interlocutori anche nei partiti di governo. La loro proposta di rimuovere la statua di Indro Montanelli dall’omonimo giardino in cui era stata collocata, a pochi metri, giova ricordarlo, dal luogo dove fu gambizzato dai terroristi rossi, è stata presa sul serio da parte del Pd milanese e anche da alcuni teppisti, per ora anonimi, che l’hanno imbrattata ovviamente di rosso. Quest’ultimo fatto, in sé, non dovrebbe essere motivo di preoccupazione, visto che la mamma dei faziosi è sempre gravida; induce a riflettere invece il fatto che la vernice sia stata versata non di notte, ma di sabato pomeriggio, quando i giardini erano frequentati, e che nessuno abbia osato protestare o magari girare un video utile all’identificazione dei vandali; dal che si deduce che nella Milano di Sala si comincia a respirare un’atmosfera analoga a quella che si registrava nella Milano di Aniasi e degli anni di piombo, quando in tanti avevano paura di compromettersi.

Il madamato

Sulle motivazioni della richiesta di demontanellizzare i giardini Montanelli è stato detto già molto. L’accusa rivolta formalmente al giornalista è di avere “sposato” (ovvero comprato dal padre, secondo l’uso tribale) una ragazzina dodicenne quando era sottotenente in Etiopia in un battaglione di Ascari. Era una pratica molto diffusa fra i militari e civili italiani in Colonia, fin dall’occupazione della Somalia e dell’Eritrea, riconosciuta dalla nostra legislazione, che regolamentava con l’istituto del “madamato” la pratica di farsi la “madama”, ovvero una convivente more uxorio, accollandosi l’onere del mantenimento suo e della prole anche dopo la fine del rapporto, col rientro in patria. Le autorità vedevano di buon occhio tale consuetudine, perché teneva lontani i soldati dalle prostitute, con relativo rischio di contagi venerei, e forniva uno sfogo a funzionari e militari più anziani, separati dalle famiglie. Anche i genitori delle “mogli di complemento” ne apprezzavano i vantaggi, di natura anche economica. Montanelli per esempio pagò la moglie, insieme a un cavallo e a un fucile, 500 lire, cifra modesta in Italia, dove mille lire erano la paga di “un modesto impiego, senza pretese”, ma che in Colonia costituivano una cifra non irrilevante. Sarebbe interessante sapere se il padre della ragazzina abbia sofferto di più per la separazione dal cavallo o dalla figlia, o magari dal fucile…

Resta il fatto che comprarsi una concubina minorenne costituiva anche ottant’anni fa una pratica aberrante, e quanto è stato detto sulla pubertà precoce delle ragazze africane e sul fatto che Maometto avesse scelto  come ultima moglie una ragazzina della stessa età della moglie di Montanelli vale sino a un certo punto. Oltre tutto, l’Eritrea e l’Abissinia non erano musulmane, ma cristiane di rito copto.

Il fascismo contro

Paradossalmente a condannare questa pratica fu proprio il fascismo, con le leggi razziali, anzi ancora prima, nel 1937, con una norma che puniva severamente il madamato. Ovviamente, le motivazioni non erano di natura umanitaria o femminista, ma di carattere politico; il risultato però fu lo stesso positivo. Mussolini temeva la prospettiva di un Impero meticcio, sul modello portoghese, non spagnolo e britannico, e aveva assistito con preoccupazione al successo di una canzone come Faccetta nera che passa oggi per un inno fascista, ma che in realtà fu vietata dal regime. Siccome la carne è debole, furono però allestiti regolari bordelli, con controlli sanitari rigorosi, per i quali però furono arruolate ragazze bianche non italiane, ma in prevalenza di Marsiglia: si preferiva non presentare agli africani le nostre donne come delle puttane. Montanelli dunque poté fare alla luce del sole quello che fece solo per un pelo, perché un anno dopo avrebbe rischiato fino a cinque anni di carcere per una legge del deprecato Ventennio.

Un discorso a parte merita il contesto in cui è maturato l’appello dei sentinelli. Che Montanelli avesse comprato una sposa bambina era il segreto di Pulcinella. Gli era stato già contestato da una femminista in una trasmissione televisiva del 1972 e non ne aveva mai fatto mistero, anzi l’aveva ricordato in varie occasioni più recenti, con orgoglio e con quella vena di nostalgia ribalda con cui, quando s’invecchia, si ricordano le prodezze della gioventù. Se qualcuno avesse avuto qualcosa da ridire sul suo comportamento, avrebbe potuto benissimo farlo prima, quando fu inaugurato il monumento a Montanelli. La statua era stata voluta da un sindaco di centro-destra come Albertini, ma all’inaugurazione erano presenti esponenti di tutti gli schieramenti e le uniche polemiche riguardarono la qualità della scultura e il fatto che probabilmente Montanelli non avrebbe gradito un monumento (e questo era vero: aveva rifiutato anche la nomina a senatore a vita). Il grande giornalista a quell’epoca era infatti apprezzato dalla sinistra, che gli era grata per la sua ostilità a Berlusconi e gli perdonava anche le prese di posizione più politicamente scorrette, come avrebbe fatto in seguito con il grande politologo Giovanni Sartori.

Solo di recente, passato di moda l’antiberlusconismo, i peccati di gioventù del giornalista di Fucecchio sono divenuti politicamente rilevanti agli occhi di una nuova sinistra che pretende di giudicare il passato con i parametri del presente. Tutto questo non aiuta a capire la storia, e nemmeno a capire Montanelli: uno straordinario impasto di coraggio e di pragmatismo, di concretezza e di idealismo, di generosità e di narcisismo. Un toscano purosangue, che preferiva perdere un amico piuttosto che rinunciare a una battuta, che si fece odiare dai suoi concittadini di Fucecchio perché bloccò con un elzeviro sul “Corriere” il loro tentativo di nobilitare il loro toponimo latinizzandolo in “Focenza”, che disprezzava i capitalisti ma poi era costretto ogni anno a battere cassa per mantenere il costoso ingranaggio del “Giornale”, e anche quando divenne, negli anni di piombo, l’idolo dei benpensanti, rimase sempre nell’intimo un fascista di sinistra, un discepolo di Berto Ricci, l’unica persona di cui riconobbe la superiorità morale.

L’errore della mancata autocritica

Personalmente, credo che abbia sbagliato a non fare autocritica per quell’acquisto incauto di una dodicenne. Riesco a scusarlo solo pensando che l’abbia fatto più che per convinzione per spregio alle femministe: non le poteva soffrire e loro non potevano soffrirlo. Apprezzo invece la sua tenace difesa del nostro Stato maggiore dall’accusa di avere usato i gas in Etiopia: aveva torto, ma è meglio avere torto quando si difende la propria Patria che ragione quando la si infanga.

Mi rendo conto però che tutto questo ha ben poco a che vedere con la damnatio memoriae che Montanelli ha subito nei giorni scorsi dai suoi contestatori milanesi, il cui leader certo si guarderebbe bene dallo sposare una dodicenne. I sentinelli hanno approfittato dello scomposto moto oikofobico che sta sconvolgendo un Occidente invertebrato per guadagnarsi quel quarto d’ora di celebrità che, come il sigaro di giolittiana memoria, non si nega a nessuno. Non posso fare a meno di pensare che, se la scuola di un tempo produceva i montanelli, quella di oggi ci regala solo i sentinelli. Speriamo che arrivi presto il capitano (anzi, la capitana) d’ispezione.

@barbadilloit

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