La lettera. La pandemia e la riconversione digitale che verrà

Per tornare a vivere non basta essere riusciti a non morire. Serve fiducia nel futuro

Un’opera di Fortunato Depero dedicata al Campari

Pandemia 2020. Che esperienza. In linea di massima e oggettivamente ciò che abbiamo subito è stato tutto fastidioso quanto necessario: chiusure progressive, distanziamento spaziale, potenziamento delle terapie intensive, progettazione di ospedali covid e strategìa per ripartire gradualmente e in sicurezza, anche attraverso la tecnologia per la mappatura degli asintomatici di cui ancora si sa poco. Col suo stile snob, il professor Alessandro Campi ci ricorda col giusto sarcasmo, che becerume e complottismo ottuso non sono il destino obbligato della comunità nazional popolare:

“Mi limito a osservare che quelli che mai al mondo si farebbero geolocalizzare dallo Stato attraverso il proprio telefonino mentre vanno al ristorante o a fare acquisti, sono probabilmente gli stessi che nulla hanno da obiettare se a geolocalizzarli attraverso il loro telefonino mentre vanno al ristorante o a fare shopping è Google.”

Tutte cose di buon senso che mirano al bene comune sanitario ed economico. La trattativa con Bruxelles è aspra ma se non usciamo dalla UE almeno dovremmo sperare di strappare qualcosa di positivo. Poi si può discutere su ogni virgola (anche perché il diavolo si può nascondere nei dettagli) ma la direzione è quella e la stanno seguendo tutti i Paesi del mondo. Non credo che stiano violando ancora la Costituzione ma me ne farei una ragione se per un tempo limitato dovessero comprimersi (come è accaduto) i diritti di libera circolazione, riunione, etc.. Tornerò sull’argomento ma per adesso mi limito a citare un personaggio ucciso dalla massoneria e lontanissimo da ogni forma di “patriottismo costituzionale”:

” La Costituzione è fatta per il popolo non il popolo per la Costituzione …. se la legalità costituzionale diventa un ostacolo per il perseguimento del bene comune, il governo ha il diritto-dovere di violarla. “

Gabriel Garcia Moreno

L’Italia che verrà… Strascico sanitario, politico, psicologico, economico e giudiziario con cambiamenti sociali ancora difficili da capire, alcuno dei quali forse irreversibile. Secondo Franco Cardini, pur di fronte ad uno scenario di cambiamento epocale simile a quello del Rinascimento dopo la Peste, la gente non imparerà nulla, secondo lo scrittore Houellebecq saremo addirittura più diffidenti tra noi e ancora più stronzi di prima. Certamente vi sono in atto delle direttrici strategiche da intercettare e bisogna farlo ora, non domani.

 Una sfida che attende il mondo intero. Difficilissimo capire quello che potrà accadere e quello che ormai è cambiato per sempre. I modi e i tempi della produzione ma anche tantissime altre abitudini saranno, diversi rispetto a ieri e qui occorrerà una riconversione industriale all’insegna dell’innovazione digitale. Occorre un ripensamento geniale dei tempi che vengono. Il problema economico per il resto è facilmente risolvibile in teoria: occorrono centinaia di miliardi in Italia e altrettanti In ogni paese del mondo altrimenti ritorniamo al primo Medioevo. Questi soldi ci saranno, ma purtroppo saranno un debito che ci renderà più schiavi di prima perché abbiamo (rectius hanno) deciso, che la sovranità monetaria debbano averla le banche. Nulla è stato fisicamente distrutto, né di vitale, né di accessorio ma per ripartire serve una iniezione straordinaria di denaro. Se ancora oggi non si è capito che la moneta è solo un segno e non una merce rara, allora si vede che il virus dell’ignoranza o della mala fede monetaria prescinde dalle pandemie.

Diversi luoghi comuni sono stati rimessi in discussione da questo piccolissimo virus. Intanto la necessità che lo Stato possegga tutta l’autorità necessaria per operare senza interferenze di altri poteri come le Regioni, per pianificare la risposta ad un’emergenza di questa portata, disponendo del controllo dei movimenti di cittadini e residenti. Il regionalismo, differenziato o meno, che cerca di fare da sé contro l’autorità centrale ne esce a pezzi. Anche il mito del produttivismo ad ogni costo, che inizialmente ha frenato il lockdown in Lombardia, esce frastornato dall’ovvia considerazione che senza la salute non esiste economìa, che il settore sanitario non può essere schiacciato né da logiche mercatiste, né da logiche clientelari, perché davanti al terrore di morire soffocati in una corsia di ospedale, saltano tutti i bilancini e le pigrizie croniche di un mondo sbagliato. Abbiamo imparato che se la sovranità e la frontiera sono due avamposti che si riprendono il loro prestigio, è pur vero che il virus ha invaso tutti senza distinzioni tra chi ha fatto la sua Brexit e irrideva noi italiani perché ci saremmo fermati “pur di non lavorare”, e chi minimizzava le paure col solito mantra del fascioleghismofomentatore di paure, per poi scatenare la paura di centinaia di migliaia di intubati a suon di #restateacasa. Abbiamo assistito alla fine del democratismo dei contrappesi di chi, forzando al massimo la correttezza giuridica delle disposizioni, ha dovuto dare ragione implicitamente ad Orban che almeno i pieni poteri per gestire la crisi li ha avuti dal Parlamento. Abbiamo capito che seppur con tante difficoltà, una serie variegata di lavori può benissimo e con minori costi, essere svolta in formato smart e da casa. Abbiamo imparato che senza i tecnici, stavolta medici e scienziati, la politica si ritrova balbuziente, ridimensionata ed inetta perché è impossibile prescindere dalle competenze specifiche quando ci si occupa di qualcosa. Il politicante di professione all’improvviso appare in tutta la sua inutilità, laddove l’ultimo degli infermieri diventa un super eroe.

Abbiamo visto decisionisti e cultori del primato del Capo, talvolta fanatici sostenitori di ogni Paese autoritario se non totalitario, diventare eruditi dispensatori di pillole costituzionali e libertarie, mentre i vecchi belliciao diventare zelanti achillistarace del Premier. Abbiamo visto che un governicchio che va avanti per inerzia e scarsi consensi, può lucrare politicamente e risalire la china da una pandemia, per la naturale propensione umana di affidarsi a chi nel momento di pericolo, detiene il comando delle operazioni. Tutto sommato la risposta degli italiani ha spiazzato le opposizioni, quasi tolte di mezzo e prive di visibilità in quanto impegnata in affannosa rincorsa e contrapposizione, laddove come in Portogallo le forze di centrodestra si sono messe totalmente a disposizione del Governo sospendendo ogni polemica posticcia. Non so se sarà stato controproducente, agli occhi degli italiani, aver avuto un atteggiamento di contrasto in un momento così difficile. Certamente è apparsa eccessiva e fuori luogo la retorica della guerra, della limitazione della libertà, come se gli italiani stessero vivendo non un momento difficile ma una vera e propria carneficina. Un lessico folle.

Come sostiene Franco Nerozzi, il fascista terzomondista, conoscitore diretto di svariati contesti bellici e autore del romanzo Nascosti tra le foglie:

“Quel che è certo è il fastidioso carico di retorica che accompagna la maggior parte delle esternazioni popolari di questo periodo. In particolar modo l’imbarazzante manifestazione del “dramma” rappresentato dalla reclusione forzata e dal presunto “eroismo” degli Italiani che lo stanno affrontando…Ci sono esseri umani che la loro casa se la sono vista bruciare, e che passano le giornate riparando i figli sotto un telo di plastica, senza il lusso della preoccupazione circa l’amuchina che sparisce dagli scaffali, o la carta igienica da accumulare. Sono tra le macerie di una città distrutta o in una foresta, ad ascoltare il boato dei proiettili di mortaio che cadono tutto intorno. Non voglio ignorare il momento difficile che stiamo passando. Ma troverei utile che tutti, a partire dal sottoscritto, mantenessimo il senso della misura, considerando che in fondo gli unici Italiani che sono stati veramente in guerra sono i nostri nonni, i nostri padri, quelli che un sistema sanitario indebolito dalla follia ultraliberista non riesce oggi a salvare.”

Nessuna retorica, è stata solo una enorme e noiosissima rottura di scatole ma permettetemi una dose di qualunquismo. Ho visto al di là di ogni considerazione dettata da riflessi condizionati, un popolo che nel suo piccolo è molto più forte, dignitoso e unito di quello che sembra e di come viene spesso rappresentato. Come nella tragedia del terremoto anche oggi onore ai professionisti e ai volontari impagabili, loro si veri vip, in quanto persone veramente importanti laddove i vip di cartapesta sono solo famosi quando non famigerati, ma non impostanti. Un popolo che nella sua stragrande maggioranza ha accettato un piccolo sacrificio in termini di libertà di movimento per vincere una battaglia micidiale che non tutti hanno capito – ancora oggi – compresi diversi snob della blogosfera, così simili a quei bizantini che mentre stavano per essere sbranati per sempre dai turchi, si alambiccavano per cercare il pelo nell’uovo facendo a gara per avere più visibilità sparando l’idiozia più originale.

Oggi più che mai invece difendo L’Uomo qualunque, Il Cittadino medio, l’uomo della strada, l’italiano anonimo che ha dimostrato di saper obbedire, magari non per alto spirito patriottico o di altruismo civico, ma per la necessità di doversi affidare all’autorità demandata a proteggerti la vita.

 Il problema è da oggi un altro: per tornare a vivere non basta essere riusciti a non morire. Serve una dose eccezionale di fiducia nel futuro o non ce la faremo mai.

Avvelenate gli uccelli del malaugurio.

Pietro Ferrari

Pietro Ferrari su Barbadillo.it

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