Giornale di Bordo. La troppa autonomia dell’Alto Adige (che riapre)

La Conferenza episcopale tedesca, le presunte responsabilità della Chiesa germanica nella 2a guerra mondiale e Ratzinger

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Negozi riaperti a Bolzano, immagine del Tgr

Quando il Parlamento era ancora tale – ovvero un luogo dove si parla e non ci si limita a premere pulsanti e a lucrare privilegi, per altro minori di un tempo – il diritto di parola non era contingentato. Di conseguenza la minoranza, per boicottare l’approvazione di un provvedimento o per dare visibilità alla propria opposizione di indole non solo pragmatica ma ideale, aveva a disposizione l’arma dell’ostruzionismo.

Maestro dell’ostruzionismo fu un deputato di nome Giorgio Almirante. Dopo di lui si cimentarono con questa tattica parlamentare, prima della riforma dei regolamenti, i radicali. Batterono i suoi record, ma con una differenza: mentre Almirante era capace di parlare per ore senza adempiere i bisogni fisiologici, i radicali ricorrevano ad artifici occulti per svuotarsi la vescica durante i loro interventi. Per questo – come mi confidò il mio amico Paolo Armaroli – il leader del Msi era stato soprannominato (beato lui!) vescica di ferro.

Giorgio Almirante, segretario nazionale del Msi

Il 16 gennaio del 1971 Almirante parlò nove ore di seguito alla Camera dei Deputati su (o meglio contro) il disegno di legge di riforma dello Statuto di Autonomia che archiviando l’autonomia regionale apriva la strada alle autonomie provinciali, consegnando di fatto l’Alto Adige allo strapotere della Südtiroler Volkspartei. Oltre che per la durata, quel discorso merita di essere ricordato per i contenuti storici e per la finezza delle argomentazioni. Almirante arrivava persino a elogiare l’onestà intellettuale del suo vecchio avversario De Gasperi, che in sede di negoziati aveva concesso ma anche preteso contropartite, e lo stesso Comitato di Liberazione Nazionale, per il suo atteggiamento di fermezza nei confronti delle pretese austriache. Anche i partigiani gli parevano migliori di un governo che concedeva un allargamento dell’autonomia dopo una lunga catena di attentati terroristici a spese dei nostri soldati, i cui responsabili sono rimasti in gran parte impuniti. Fu anche per interventi di questo genere che Montanelli scrisse, come necrologio di Almirante, che con lui se n’era andato “l’ultimo italiano a cui si poteva stringere la mano senza sporcarsi”.

Non posso fare a meno di ricordare quel lontano episodio della nostra storia parlamentare dopo aver visto le immagini del centro di Bolzano pieno di una folla per nulla socialmente distanziata, dopo la decisione della Giunta provinciale altoatesina di riaprire quasi tutto in deroga alle disposizioni del governo. È chiaro che la Südtiroler Volkspartei, egemone nella provincia, guarda all’Austria e che i suoi elettori sono stati ben felici di riaprire i bar, gli alberghi, i ristoranti le malghe realizzati con i lauti fondi della Provincia autonoma. E intanto noi cittadini italiani ci troviamo a finanziare un pezzo d’Italia che non è più Italia, salvo quando si tratta di battere cassa. Sarebbe forse giunta l’ora di un ripensamento: non è questione di sovranismo, ma di dignità.

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Non c’entra nulla col Coronavirus. O forse sì. A volte la realtà è più sorprendente della fantasia. La Conferenza episcopale germanica ha presentato il 29 aprile un documento in cui denuncia presunte responsabilità della Chiesa tedesca nella seconda guerra mondiale.

Da un lato accusa i vescovi di non essersi espressi con un chiaro no alla guerra. E questa è un’accusa opinabile, perché comunque la Chiesa cattolica tedesca assunse posizioni molto più coraggiose nei confronti del nazismo delle chiese evangeliche, condizionate dal principio luterano dell’obbedienza ai “prìncipi” (senza contare che il tanto rivalutato monaco agostiniano si espresse nei confronti degli ebrei con espressioni tali da fare impallidire Hitler).

Dall’altro – e qui diventa impossibile seguirlo – cita, come “fatti incontestabili” che dovrebbero indurre la Chiesa cattolica tedesca all’autocritica il fatto che abbia fornito cappellani militari alla Wehrmacht, come del resto avveniva in tutte le nazioni belligeranti, a parte la Russia sovietica, e che abbia riconvertito molti beni ecclesiastici in ospedali militari, in cui le suore facevano le infermiere. E cosa avrebbero dovuto fare i vescovi tedeschi? Lasciar morire i soldatini come cani, senza ricevere assistenza né materiale né spirituale?

Papa Benedetto XVI

p.s. Fra i soldatini che la Conferenza episcopale tedesca avrebbe voluto senza assistenza spirituale c’era un giovanissimo seminarista richiamato prima fra il personale di supporto alla Luftwaffe, poi in fanteria. Si chiamava Josef Ratzinger, e sarebbe diventato papa (per poco, per la gioia di qualcuno fra i vescovi estensori del documento). Secondo la Conferenza episcopale tedesca, sarebbe dovuto rimanere anche lui senza i Sacramenti?

@barbadilloit

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