De Angelis: “Finita la moda del sovranismo, si riscopra la destra nazione&popolo”

L'ex direttore di Area e del Secolo sulla Libia: "Necessaria una nuova politica di co-sviluppo con i Paesi del Mediterraneo del Sud"

Marcello De Angelis
Marcello De Angelis

Per le interviste di Barbadillo, dialoghiamo con un intellettuale originale tra politica interna, scenari internazionali e prospettive web del discorso pubblico

Marcello De Angelis, la politica è in rapido movimento. Alain de Benoist ha scritto un libro intitolato “Momento populista”. Appunto un momento. Anche lei, direttore, in una intervista su Barbadillo, aveva evidenziato – con lucida preveggenza – la debolezza della piattaforma sovranista, che ora ha necessità di evolvere con una nuova ragione sociale. Quale?  

“Il mio scetticismo sul “sovranismo” – stiamo parlando di  quasi due anni fa, credo – non era ovviamente sulla giusta richiesta di bloccare, se non invertire, il meccanismo di trasferimento di sovranità dalle nazioni alle istituzioni sovranazionali, una deriva che dura da decenni in realtà, ma sull’entusiasmo con cui tutti abbracciavano la nuova definizione e quasi facevano a botte per appropriarsene. Come ricorderai facemmo un discorso analogo quando, con Marine Le Pen in lizza per l’Eliseo, in Italia tutti si presentavano come il naturale rappresentante del lepenismo in Italia.

Nella politica la comunicazione, soprattutto di questi tempi, è fondamentale. Il sovranismo era solo un’ennesima parola di moda, inventata altrove e ripresa dai giornalisti italiani per puro provincialismo. In Italia purtroppo solo i politici (non tutti, ma molti) riescono ad essere più pigramente provinciali dei giornalisti.

Non ho letto il libro di de Benoist, ma immagino che anche lui mettesse in guardia dall’eccessivo innamoramento per il termine populismo, che di per sé ha uno spessore e un peso storico maggiore di “sovranismo”, ma comunque da noi è arrivato come strumento di delegittimazione, utilizzato dai padroni dei grandi network di informazione per disinnescare gli appelli ad un ritorno al protagonismo dei popoli.

Anche in questo caso dubito moltissimo che la maggior parte di quelli che hanno utilizzato il termine populismo sappiano da dove viene, che significava in origine e quando e perché è tornato nel dibattito come arma di delegittimazione. Per la cronaca quest’ultima fase risale al dibattito cultural-politico americano degli anni Novanta… Vale sempre la pena di rileggere La ribellione delle élite di Christopher Lasch. Che mi sembra sia del 1996…

Io, a costo di apparire ottuso e banale, penso che le categorie abbiano una dignità storica e se è vero che “sinistra” non significa più la stessa cosa e che è un termine usurato e svuotato di dignitosi contenuti, destra invece in Italia significa ancora qualcosa, ha una sua riconoscibilità e dignità conquistata anche grazie alla marginalizzazione e alla persecuzione. La destra è un prodotto tipico, ognuno ha la sua: in Italia, dal primo dopoguerra, diversamente da quella, ad esempio, anglosassone, significa Nazione+Popolo. Siamo stati i primi a sventolare questa bandiera, gli altri ci sono arrivati solo ora. Perché rinunciare alla primogenitura per correre dietro alle mode, negando se stessi e gettando via la propria storia e identità?”.

Si profila all’orizzonte una politica sotto il gioco dei tecnici, che siano economisti o virologi. Con che effetti?

“Gli effetti e le cause sono sempre collegati in un circolo vizioso. Delegittimando il pensiero politico, la cultura, l’etica e qualunque riferimento al quale, a vario livello, possono avere accesso tutti i cittadini, si schierano sacerdoti laici che possano dire “è così perché ve lo diciamo noi e non fate domande perché tanto non capireste…”. Un salto indietro di secoli per l’intelligenza collettiva, il senso comune e le capacità critiche. Gli italiani però, che sono tutt’altro che “il popolo dei furbi” come ci raccontiamo, sembrano sempre più disarmati dinanzi ai diktat dei Grandi sacerdoti. Forse prima credevano ciecamente ai preti, poi al Partito o alla Televisione,  adesso invece si abbandonano come bambini nelle mani di professori, esperti, scienziati… Un nuovo oppio dei popoli buono per ogni occasione”.

La politica corre sul web. Congelate manifestazioni e comizi, gli incontri avvengono su piattaforme digitali, oltre alla propaganda social ormai abusata e al limite dell’intossicazione dei cittadini. Pro e contro di questa nuova dimensione?

“Il pro è che costa di meno. Il contro è che non c’è più l’esperienza vissuta della forza comune, dell’essere “noi”, della mobilitazione popolare… Se vogliamo, anche se il termine non mi piace, della “folla”. Stiamo scivolando nel distanziamento sociale cronico. Io sono un uomo del Novecento – purtroppo – e ho nostalgia persino dell’odore del sudore e dello schiamazzo cacofonico degli slogan…”.

Cambia la percezione degli italiani dell’Ue e l’Ue cambia i suoi dogmi, a partire dal pareggio di bilancio. Quali i nodi salienti dei prossimi mesi?

“Nella situazione dove siamo arrivati, dal trattato di Maastricht in poi, il timone resta saldamente nelle mani delle istituzioni europee. Salvini l’aveva capito – o quanto meno glielo avevano spiegato – e per questo sembrava aver concentrato tutte le energie su un’alleanza con i Cinquestelle che pensava gli avrebbe dato i numeri per provocare un cambiamento di rotta del Parlamento europeo. I padroni dell’Ue ovviamente non sono degli sprovveduti, quindi hanno comprato il sostegno dei grillini su un Presidente del Parlamento Pd. Lì è finito l’esperimento gialloverde, con il mutamento di fronte dei Cinquestelle che hanno rinunciato al “Cambiamento” per il “Consolidamento”. Tattica che non credo abbia pagato; perché storicamente quando si cambia fronte si fortificano quelli che già stavano dall’altra parte e si diventa al massimo portatori d’acqua. Il tradimento paga nell’immediato, ma a medio termine rende schiavi”.

Italia e Mediterraneo. In estate tornano gli sbarchi dal Nord Africa e resta ancora inquieto il quadrante libico. Come si possono tutelare al meglio gli interessi nazionali italiani?

“Credo che l’unico modo sarebbe sbarcare in Libia e far partire da lì una nuova politica di stabilizzazione e co-sviluppo con i Paesi della costa Sud del Mediterraneo. Esattamente quello che prevedeva la strategia Meda della Ue prima che la Germania imponesse l’allargamento ad Est, unicamente per i propri interessi, e drenasse i fondi già dedicati alla proiezione europea verso Sud, che avrebbe ovviamente visto l’Italia come asse centrale.

Ovviamente a dire questo ci si espone ad accuse strumentali, o semplicemente idiote, di neocolonialismo o addirittura di militarismo. Ovviamente si preferisce la “pace” e la “stabilità” che hanno portato in Libia gli interventi pirateschi di altre potenze europee e i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti… “.

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Michele De Feudis

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