Focus Irlanda. Il programma nazionalpopolare del Sinn Fein e l’attacco ai colossi web

Gerry Adams (a sinistra) accanto a un candidato e due manifesti del Sinn Fein

Mentre in Italia e nel resto d’Europa è evidente una riformulazione della dicotomia destra-sinistra e del duopolio elettoralistico, in Irlanda assistiamo a qualcosa di insolito. Il Sinn Féin Movimento nazionale irlandese, costituitosi in partito nel 1905 per volere del giornalista Arthur Griffith dalle antichissime origini gallesi, è in risalita nei sondaggi. Le prossime elezioni di sabato 8 febbraio potrebbero, il condizionale è d’obbligo, affievolire lo strapotere messo in piedi dal Fianna Fáil e dal Fine Gael. Rispettivamente, il partito di centro-sinistra irlandese e quello di centro-destra: l’ala progressista e quella liberale che si rimpallano il potere con astuzie e mestizie non molto diverse da quelle in Italia. Vedasi la riproposizione con altra forma, tranne che nella sostanza, dell’ultimo periodo. 

Il programma

Indubbiamente, leggendo il «Manifesto per il cambiamento» del Sinn Féin, balza subito all’occhio, l’essere non più di fronte a quel modo di affermare l’autonomia che lo caratterizzava. Ma questa non è certo una novità, per la semplice motivazione che le influenze della Christian Brothers di Dublino che tanto influenzarono A. Griffith e chi gli succedette, il recupero della vecchia cultura gaelica in contrapposizione ai disastri molto più recenti degli “stakeholder” di ieri e di oggi della cultura britannica, pare l’abbiano portato ad una maturità politica. Pagando lo scotto di una linea moderata anche nei contenuti, nelle proposte che però paiono guardare a quel ceto medio, ai lavoratori e alla popolazione più colpita dalla globalizzazione, tanto vituperati dalla classe dominante e dai due partiti di riferimento.

Ma nel 2011 e meno di quattro anni dopo i disastri concordati dal Fianna Fáil e dalla stampella del Fine Gael, la coalizione che nel 2011 gestì pessimamente la crisi finanziaria, mettendo in atto le politiche di austerity dettate dalla Troika in Irlanda, quello che prima era impensabile divenne una certezza. Il Sinn Féin incominciò a risalire la china, spesso ignorato dai mass media, dallo strano mondo dell’opinionismo politico e degli “opinion leaders”. Quest’ultimi, diciamo pure entrambi, paiono avere una certa preparazione su un tema specifico, diventando così una sorta di conoscitori che non mancano di elargire al pubblico delle castronerie; spesso viziate dall’alterigia di chi ne sa poco se non per un certo interesse specifico o di preferenza. 

Il manifesti del partito

I punti principali del Manifesto del Sinn Féin, riguardano l’aumento della tassazione alla corporation e alle multinazionali. La riduzione del costo degli affitti con un programma sull’edilizia pubblica con alloggi accessibili alle persone. La riduzione del costo dell’assistenza all’infanzia e l’interruzione del rialzo dell’età pensionabile. L’istituzione di un forum nazionale, un’assemblea di cittadini atta a pianificare un referendum sull’Unità irlandese con un occhio di riguardo al Nord Irlanda senza snaturare le differenze regionali. Il taglio netto alle liberalizzazioni e alle eccessive privatizzazioni dell’assistenza all’infanzia, per garantire ai lavoratori del settore uno stipendio adeguato e la possibilità di avere un lavoro stabile in prospettiva, la riduzione del costo dell’assistenza all’infanzia, il congedo di maternità retribuito a 52 settimane con l’aumento dell’indennità di 52 euro. La sicurezza dei cittadini nelle loro comunità, reclutando il numero massimo di forze dell’ordine ogni anno, pattugliando maggiormente le comunità locali. 

Quest’ultimo in realtà, pare essere il solito escamotage securitario per affrontare la questione: chi delinque, per quali motivi delinque e l’analisi accurata della composizione della società irlandese, comprese tutte le implicazioni. Ma l’attenzione pare essere rivolta anche ai settori dell’agricoltura, alimentazione e ambiente marino. In particolar modo, a quelle comunità rurali lontane dai palazzi scintillanti di Dublino. La soluzione è quella degli investimenti utili, l’aumento dei servizi pubblici, il sostegno alle infrastrutture e delle politiche agricole che si discostano da quelle precedenti. Le quali non dimentichiamolo, hanno minato il modello di fattoria a conduzione familiare irlandese, preferendogli l’agricoltura e le fattorie intensive. Un cambiamento radicale che comprende anche l’istituzione di una commissione governativa che se ne occupi, rifiutando qualsiasi accordo commerciale che possa impattare negativamente sugli interessi agricoli, dell’alimentazione e dell’ambiente marino irlandesi. Questo sulla carta ma tra il dire e il fare, chissà… 

Non vengono lasciate indietro neppure le annose questioni della televisione e della radiodiffusione pubblica, soverchiate dai magnati del settore. La visione generale è quella di renderle indipendenti, aiutandole con dei sovvenzionamenti sostenibili. Cosa molto diversa dalla lottizzazione politica della RAI che perdura inesorabilmente anche dopo l’elezione a Presidente di Marcello Foa (Sigh…). Non viene accantonata neppure la cultura: la sua espressione attraverso l’arte e la sua conservazione, attraverso il patrimonio che non è un prodotto, tantomeno di proprietà dello stato.

La cultura è il prodotto e la proprietà delle persone e delle comunità: «“[…] La cultura influenza la nostra arte, il nostro sport, il nostro patrimonio, la nostra economia, il nostro governo, la nostra identità e il nostro modo di vivere. Ciò che scegliamo di preservare e proteggere nel nostro patrimonio e ciò che scegliamo di riconoscere e presentare nella nostra arte rivela, a noi stessi e al mondo, il tipo di persone che siamo e la forma della società che vogliamo costruire. La cultura, la sua espressione attraverso l’arte e la sua conservazione attraverso il patrimonio non sono né prodotti né posseduti dallo stato. La cultura è il prodotto e la proprietà di persone e comunità […]”». 

Una delle tematiche più importanti per il padre fondatore A. Griffith, trova ancora spazio e nelle centodieci pagine del Sinn Féin, sono previsti anche dei piani di investimento per la lingua irlandese nelle zone dell’isola dove permane un uso corretto dell’irlandese al posto del più diffuso inglese. Ovviamente, abbiamo toccato solo alcuni dei punti cardine. Tornando al bieco discorso elettorale, è probabile ma non certo che il Sinn Féin arrivi terzo alle prossime elezioni, pur essendo in testa nei sondaggi. Ma quello che più colpisce di un ex movimento ora partito, è una certa continuità della proposta rinnovandosi ma, senza snaturare quelle che sono le prerogative di una visione dell’Irlanda. 

Una veduta e delle tradizioni che sono anche politiche ma non sono fisse sul passato, rigenerandosi assieme all’esistenza storico-sociale d’Irlanda. Guardandosi bene dal confondersi con i due schieramenti concorrenti, nonostante tenda a sovrapporre delle istanze indipendentiste che nulla hanno cui vedere con l’autonomia di un popolo, in questo caso delle semplici rivendicazioni rivolte all’Inghilterra, salvo tornare a correnti alterne sui vecchi adagi. La domanda è d’obbligo: nel contesto “dell’isola di smeraldo” il duopolio viene in messo in discussione? Perlomeno, in attesa del post-elezioni e se ci saranno coalizioni. 

Ad oggi non sappiamo se il Sinn Féin accetterà dei compromessi, pare orientato a dire No. Però, è evidente che se dovesse cedere a tali lusinghe solo per far passare alcuni dei suoi punti del programma/manifesto, la lunga rincorsa risulterebbe essere una vittoria di Pirro. Ma nulla è scontato, a meno che non si voglia rinunciare all’esatto opposto del paradiso fiscale delle multinazionali, qual è oggi l’Irlanda, con tutto ciò che ne consegue: un impatto negativo sul sociale, sull’economia, nell’ambito culturale, del lavoro, della politica e della salute, per una vita da caveau per conto terzi.  

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Francesco Marotta

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