Caro Direttore,
in genere le mie lettere sono di denuncia o d’indignazione. E non per questo finirò di scrivertene di tal tenore. Ma per una volta voglio segnalare una bella notizia, la quale dà gioia a me e deve darne a tutti i napoletani e i campani. Parla di quattro nostri meravigliosi ragazzi.
Il 5 giugno il “Quartetto Felix” riceverà al Quirinale, dalle mani del Capo dello Stato, il premio speciale dell’Accademia di Santa Cecilia. Marina Pellegrino, Vincenzo Meriani, Francesco Venga e Matteo Parisi, salernitani, hanno costituito il gruppo che si dedica alla sofisticata e, sovente, altissima, letteratura del Quartetto per tre archi e pianoforte. Alcuni dei capolavori della musica ne fanno parte. Or questi ragazzi li conosco da poco; e per caso: estraneo come sono diventato all’attualità della vita musicale. Innanzitutto, al primo incontro credetti, come qualsiasi musicista crederebbe, che la scelta del nome fosse un omaggio al sommo compositore Felix Mendelssohn: il quale, peraltro, chiude la meravigliosa Quarta Sinfonia, detta Italiana, con un movimento impropriamente definito Saltarello, e ch’è in fatto una vera Tarantella: e la napoletana, non la salentina. Invece essi hanno eletto la Campania felix a egida e simbolo beneaugurale della loro fraternità artistica. Ci vuole una cultura classica e il vanto delle proprie origini per siffatta elezione; e questo già la dice lunga.
Di primo acchito, quando li ho ascoltati sono stato colpito dalla pulizia e dalla bellezza del suono, qualità tecniche assai rilevanti; esecuzioni impeccabili. La scelta del repertorio, rara e intelligente, con l’attenzione, fra l’altro, verso il grande e non abbastanza valutato William Walton, testimonia dell’ampiezza di veduta dei componenti sotto il profilo culturale. Walton viveva a Ischia e considerava il proprio capolavoro non il Troilo e Cressida, da Virgilio e Shakespeare, ma il giardino della villa “La Mortella” a Forio, una rarità quasi unica al mondo, la bellezza del quale lascia senza fiato. Poi Beethoven, Brahms, Fauré … Auspico, sia detto timidamente, che un eventuale ampliamento possa portarli anche verso capolavori come quelli di Schumann e Martucci, nato a Capua, direttore del nostro Conservatorio e certo il più grande sinfonista italiano, oltre che uno dei più grandi direttori d’orchestra e pianisti di tutti i tempi. Finalmente possiamo essere orgogliosi di qualcosa nato dalla nostra terra e dalla nostra storia.
Coll’occasione, visto che ho citato il Capo dello Stato, ho da rivolgergli un sentito ringraziamento. Il 2 giugno, a Napoli, ha nominato grande ufficiale la signora Rosanna Purchia, soprintendente del Teatro San Carlo. L’ultima impresa di costei, che si aggiunge a lunghi anni di benemerenze al servizio del suo dante causa Salvo Nastasi (dall’aver orgogliosamente accettato di presiedere a un teatro l’acustica del quale venne dal Nastasi distrutta, dall’aver abbassato il livello artistico di uno dei più importanti teatri del mondo al di sotto di ogni tollerabile decenza, all’ospitare fieramente le regie della figlia del m° Muti, etc), è stata quella di onorare l’ospite re di Spagna con l’esecuzione dell’inno franchista: presente, sempre, Mattarella; il quale ha dovuto porgere scuse ufficiali. Le sono grato, signor Presidente, di non avermi fatto nemmeno cavaliere. (Ricordate Totò? “Come, Lei non è cavaliere?”) Sotto l’Italietta umbertina, celebre motto era: “Un sigaro e una croce di cavaliere non si negano a nessuno”. Le sono in debito per non aver pensato di offrirla a me, che non l’ho mai chiesta. Grazie di non propormela in futuro: alla stregua di ciò, non l’accetterei mai. Anche Verdi, in analoga circostanza, restituì la commenda al ministro Broglio. Ben vero, io sono un microbo; so di esserlo. E sto a Verdi come la rag. Purchia sta a me. Mi permetto altresì ricordarLe, signor Presidente, che ci sono tanti altri soprintendenti aventi causa dal Nastasi, da Chiarot di Firenze, che su tutti eccelle, in giù, i quali della croce hanno diritto quanto la Purchia e non hanno minori demeriti. Perché stabilire disparità? Todos caballeros per aver dato l’ultimo colpo di piccone a quello che fu per cinque secoli il predominio culturale della nostra Patria, la musica.
*Lettera al Corriere del Mezzogiorno pubblicata il 6.6.2019
Sì, d’accordo, ma la settecentesca ‘Marcha Granadera’ ha avuto in passato molte versioni cantate, tra le quali quella di Pemen del 1928. Il fatto che sia stata poi eseguita con Franco al potere non la converte in un ‘Inno franchista’. L’unico inno che si potrebbe considerare franchista è ‘Cara al Sol’, con testo di José Antonio Primo de Rivera, assassinato (più o meno legalmente) nel carcere di Alicante nel 1936 dai rossi…Delitto: cospirazione!
Peman, José María, sorry….