Figurine. La bellezza effimera di Paulo Futre, l’ultima rosa del futbol

E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose. 

(Fabrizio de André)

 

Immagina che la neopromossa, al primo anno di A, compri il campione dell’Atletico Madrid, uno tipo Griezmann per capirsi. E che alla prima partita in casa, dopo aver smesso la casacca del glorioso Olympique Marsiglia e indossata la cotta granata della Reggiana, ha seminato il panico nell’area avversaria. Fino a cadere, incocciato dalla rudezza di un italico difensore. Che lo lascia a terra, dolorante e pesto, per (almeno) sei-sette mesi.

Durò pochissimo l’epifania di Paulo Futre al “Giglio” di Reggio Emilia. Ma il pomeriggio del 21 novembre del 1993 bastò a farne un rimpianto. Dicono che suo sicario fu la grinta del cremonese Pedroni, in realtà Futre era il simbolo di futbol bailado che pagò il cambio di passo del calcio che andava votandosi agli dei inferi del fitness. La fantasia andava dimettendosi dal potere in quegli anni, ma non ce ne accorgemmo perché eravamo troppo impegnati.

Veloce, troppo. Lesto di gambe, anche di più. Dribblomane, deliziosamente. Ma il pallone ormai preferiva i muscoli al genio, i centimetri della tattica al guizzo che ammutolisce e incanta. Tentò e riprovò a riprendersi quanto gli apparteneva, per diritto. L’infortunio, però,  aveva lasciato sfiorire il profumo ubriacante del suo talento.

Finì al Milan e solo Berlusconi, che pure fu l’apprendista stregone del futbol moderno, poteva innamorarsi di un calciatore fragile ma così pieno di classe. Ma tra convalescenze eterne e interminabili sedute al Milan Lab, ormai il suo tempo era finito. Atterrò al West Ham e quindi svernò in Giappone.

L’Italia, tranne la via Emilia, alla dimenticanza ha unito la scomunica della meteora. Ma se chiedete a Madrid, se lo ricordano ancora.

Giovanni Vasso

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