Tutta l’opera di Walter Siti – santificato e collocato nel settimo cielo degli scrittori – oscilla tra Francesco Orlando (Rovine, reliquie, rarità, robaccia, dosata a colpi di Freud) e Pier Paolo Pasolini (vita e desiderio), anche l’ultimo libro: “Bontà” (Einaudi). A un certo punto nelle sue storie arrivano i momenti FO e PPP, ma se “Scuola di nudo”, “Troppi paradisi” e “Il contagio” avevano una forza linguistica scandalosa, il resto è ripetizione come questa ultima novella. Il protagonista è Ugo, direttore editoriale, che un po’ cita la nonna un po’ svisa in latino, feroce quanto basta per ottenere una ammirazione ipocrita, nessun problema economico, ma come un personaggio di Woody Allen non ha scritto il grande libro che sognava e immagina un finale di vita col botto, per morire da corsaro. Da una parte c’è il mondo editoriale raccontato senza vera cattiveria, nonostante i tre romanzi abbozzati che imitano i prodotti editoriali che l’Einaudi produce: esordienti in serie con frasetta breve come incipit, e che usano tutti la stessa lingua: l’ammanitese, mutuata dallo scrittore Niccolò. Dall’altra parte ci sono gli immancabili marchettari lost in the supermarket dell’ammore, saturi di galera e anabolizzanti, pregati e pagati per uccidere il direttore editoriale, dopo averlo scopato. Tra sogni, segni e sudore, Siti, più che bravura e sapienza (c’è tutto un rosario di nomi, citazioni, note) mostra stanchezza e ripetizioni, senza citare Giuseppe Zigaina e la sua teoria sulla morte pasoliniana che diventa grottesco tentativo col suo Ugo.
Non sapevo manco chi fosse. Ma dal suo CV capisco che è uno che non mi piace per niente…