Tarantelle. Caro Elon Musk, ecco perché non ci serve il microchip nel cervello

Elon Musk, il guru che vuole ampliarci il cervello.

Elon Musk vuole impiantarci un microchip nel cervello. Detta così sembra una paranoia da complottisti, invece – stando a quanto riporta Sky Tg 24 – il (nuovo, anzi l’ennesimo) Mahatma dell’ipertecnologia ha lanciato una nuova compagnia che si chiama Neuralink a cui ha demandato il progetto del millennio: creare dei dispositivi capaci di collegare l’uomo ai dispositivi di Intelligenza Artificiale installati nei più moderni elettrodomestici (tra cui le auto che si guidano da sole, che così automatizzate smettono il fascino che ammaliò d’Annunzio e così diventano dei frullatori più grandi, ma questa è un’altra storia).

La cosa più affascinante, secondo i nerd, è il fatto che grazie al chip si potranno caricare e scaricare pensieri, immagazzinarli in una sorta di hard disk esterno ma connesso al cervello. Tutto molto interessante, per dirla con l’ultima hit di Rovazzi.

Perché tutto ciò, oltre a essere vagamente inquietante, è perfettamente inutile. Non ci serve proprio a niente.

Di cosa dovremmo riempire gli aggeggi da farci impiantare in testa? Davvero varrebbe la pena farci incastrare in capa un elemento estraneo per tenere sempre a mente tutte le canzoni di Fedez, le ricette di Cracco e i tweet della moglie del calciatore del cuore?

Diranno gli entusiasti, la tecnologia è neutra. Dipende da come la usi. Certo, se la usi per fesserie, sei un fesso. Ma puoi usarla, come m’ha suggerito un amico, per cose intelligenti e molto serie. Tipo memorizzare tutti i libri che siano mai stati scritti, da Babilonia in poi.

A tutta prima sembra un’opzione interessante. Quasi l’uovo di Colombo, quello spunto che per un filo non ti fa cambiare idea. In realtà, anche sotto questa luce, il chip rimane perfettamente inutile: se è così che intendiamo una volontà di conoscenza, è ciò indice di una bulimia di sapere, che senza pensiero (umano) e meditazione (umana) rappresenta solamente un corpo estraneo e perciò, troppo e mal assimilato, quel sapere finirà prima o poi espulso.

Non sarà un caso se ne Il Conte di Montecristo, Alessandro Dumas mette in bocca all’abate Faria un insegnamento che non è per nulla banale.

 “A Roma avevo una biblioteca di circa cinquemila volumi. A forza di leggerli e rileggerli ho scoperto che con centocinquanta opere ben scelte si ha, se non un compendio intero dello scibile umano, almeno tutto quello che è utile per un uomo sapere”.

Faria non è (solo) un affascinante personaggio letterario. È il topos del pedagogo classico, dell’aio, di colui che trasmettendo il sapere,  prima restituisce al prigioniero 34 la sua umanità di Edmond Dantès e, quindi, lo sublima all’aristocrazia di spirito del Conte di Montecristo. La scelta, in questo passo, diventa l’elemento decisivo per la bocciatura senz’appello del chip di Elon Musk. Nessun algoritmo può sostituire in maniera efficace l’arbitrio, il genio, il pensiero, se vogliamo anche la spocchia umana.

La scelta, secondo il paradigma consumistico che è alla base (anche) di quest’ultima trovata hitech, viene superata dall’abboffata: non devi essere costretto a fare a meno di qualcosa se puoi prendere tutto. Così la logica sottesa al microchip è quella dell’ammassamento indiscriminato. Avere dati, tanti dati, più dati di tutti. Quasi come il Mazzarò de “La roba” di Giovanni Verga che ammassava terre e proprietà, lavorando come lo schiavo che era stato perché doveva sbattere in faccia ai (vecchi) padroni il suo successo, il suo riscatto sociale. A differenza di Mazzarò, che uno scopo pure l’aveva e una scelta l’aveva pur fatta (e cioé quella di diventare latifondista), l’ammassatore compulsivo di dati non sembra avere, ragionevolmente, altro obiettivo che quella banalissimo di provare a far colpo sui propri simili, per vincere magari qualche contesa su Facebook. Cosa che, del resto, non è nemmeno assicurata: per conoscere una qualsiasi opera dell’intelletto umano occorre capirla e meditarla, non semplicemente conservarla in naftalina come fosse lo scialle della nonna.

La questione centrale rimane sempre la stessa, quella del concetto di conoscenza. Avere in casa (o incastonati nel cervello) settemila libri, ottocento partiture musicale, due milioni e mezzo di film non significa, in sè, possedere alcun tipo di conoscenza. A prescindere dagli strumenti, l’essenza – senza un lavoro umano e che nessuna macchina può sostituire – sfugge e sfuggirà sempre.

Fa riflettere, e non poco, il fatto che per Ernst Junger il rapporto con i computer fosse del tutto privo di ogni tipo di valore.

“L’incontro tra la mente e la macchina non è per niente interessante, meglio le droghe”

(nel video a una vecchia intervista che trovate qui).

 

Per Julius Evola la questione è ancora più netta. In Cavalcare la Tigre, il barone scrive:

“La verità è che nulla viene all’uomo dai progressi di scienza e tecnica; né nei riguardi del conoscere né nei riguardi della stessa potenza, ancor meno nei riguardi di  una qualche norma superiore per l’agire. […] Circa la potenza, nessuno pretenderà che per il fatto che con la bomba H una persona può anche distruggere un’intera metropoli o che con l’energia nucleare può attuare le meraviglie prospettate dalla seconda rivoluzione industriale o ancora dilettarsi in quei giuochi d’avvenire per bambini grandi che sono le esplorazioni spaziali, quella persona in sé, nella sua concretezza esistenziale sia più potente e superiore”.

 

Sembra abbastanza, quindi, per accantonare i propositi della Silicon Valley nei cestini del Pc. Vero, la tecnologia in sé è neutra. Dipende dall’uso che se ne fa. Lasciarsene sopraffare è da fessi, anche se ritenessimo – come è luogo comune da un secolo a questa parte – che le ricchezze della tecnologia ci rendano immortali e i migliori tra gli uomini.

È dal passato che dobbiamo prendere esempio, e ricordarci perché Solone d’Atene, secondo Erodoto, che davanti al ricchissimo e potentissimo re Creso che gli chiedeva chi fosse l’uomo più felice al mondo rispose “Tello!” senza prendere nemmeno in considerazione l’inconfessata autocandidatura del monarca di Sardi.

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Giovanni Vasso

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