Il caso (di M. Veneziani). Che fine ha fatto la cultura di destra?

palloncini_gIl 17 dicembre a Bologna ci sarà un evento culturale in ricordo di Marcello Bignami, leader della destra italiana ed emiliana, scomparso nel 2006. Nell’occasione ci sarà un dibattito sulla necessità di nuove coordinate per la destra politica e culturale italiana. Da qui la riflessione di Marcello Veneziani per Barbadillo.it

C’era una volta la cultura di destra. Che fine ha fatto, anzi per dirla più in modo bruto, chi l’ha uccisa? Le piste al vaglio degli inquirenti sono quattro: la sinistra, Berlusconi, Fini, l’auto-liquidazione. Le ipotesi finora avanzate sulla sua scomparsa sono le seguenti: a) l’egemonia culturale della sinistra con la sua cappa ideologico-mafiosa le avrebbe negato gli spazi di libertà e visibilità fino a soffocarla, confinandola in una zona proibita e infame. b) l’egemonia sottoculturale del berlusconismo in tv, nel costume e in politica l’avrebbe per metà corrotta e per metà emarginata, fino a neutralizzarla. c) l’insipienza della destra politica avrebbe demolito ogni ragione culturale e ideale della destra, fino all’epilogo indecente della sua liquefazione. d) infine, la cultura di destra è evaporata per la sua stessa inconsistenza; era solo una diceria, un fantasma del passato, un mito o una protesi. 

In una certa misura, sono plausibili tutte le piste indicate ma a patto di chiarirle meglio e circoscriverne la portata. Certo, la cultura dominante di sinistra, dopo un periodo di dialogo e apertura, si è come inasprita negli anni del conflitto berlusconiano e alla pregiudiziale antica nei confronti della destra si è aggiunta la damnatio del berlusconismo. Fino a condannare la cultura di destra alla morte civile tramite finzione d’inesistenza. Sono lontani i tempi in cui un editore come Laterza pubblicava, facendo quindici ristampe, un saggio sulla cultura della destra di un autore vivente di destra.In seguito, avvelenato il clima, lo stesso editore declinò l’invito a integrare quel testo coi dialoghi dell’autore con Dahrendorf e con Bobbio. L’epoca dei dialoghi era ormai finita. Ma è pur vero che la cultura di sinistra era egemone già ai tempi in cui fioriva la cultura di destra e poi la nuova destra, tra gli anni settanta e i novanta; dunque l’ipotesi è fondata ma non basta a spiegare da sola la scomparsa della cultura di destra.

E’ vera pure la seconda ipotesi: la sottocultura televisiva, il frivolo e il banale dominanti, hanno reso straniera la cultura di destra, l’hanno messa a disagio, fuori posto. Ma quella sottocultura imperversava già dai tempi della tv in bianco e nero, della Carrà, dei quiz, di Giovannona coscialunga e affini; e allora non c’era ancora il berlusconismo. Insomma pure questa ipotesi è fondata ma non basta a spiegare da sola il disarmo della cultura di destra. 

Anche l’insipienza della destra politica è storia vecchia, Fini la portò al suo gradino ultimo, ma sarebbe troppo ritenere che i suoi passi falsi abbiano cancellato la cultura di destra. Quella cultura, peraltro, non viveva all’ombra di un partito, anzi era in permanente tensione e dissidio; per la stessa ragione non può essere stata uccisa dalla politica; semmai dall’assenza di luoghi politici e mediatici, istituzionali e culturali in cui elaborare idee, relazioni ed esprimersi. 

Infine all’evaporazione della cultura di destra per intrinseca inconsistenza si può credere fino a un certo punto: vero è che la cultura di destra ha grandi radici e rari frutti ma la sua scarsa incidenza politica è dovuta in gran parte alla sua indole impolitica e la sua allergia a coprire ruoli di intellettuali organici e collettivi. E’ vera la rarefazione delle intelligenze, anche per il clima di cui sopra, tra nemici di fuori, ignoranti di dentro e il nulla che tutto pervade. Nel generale degrado della cultura, anche quella di destra sparisce. Della cultura di sinistra sopravvive la cupola del potere culturale, il suo ceto dominante e la sua intolleranza in forma di razzismo etico, ma non l’elaborazione di idee vive, opere originali, la centralità del pensiero. 

Insomma i fattori qui esaminati possono essere considerati concause dell’eclissi della cultura di destra ma la causa regina non è la prevalenza di una cultura antagonista e nemmeno la modestia del suo ceto politico o intellettuale ma è la massiccia, radicale deculturazione in atto, ossia l’avvento di un potere e di una mentalità – non di un “pensiero unico” perché c’è poco pensiero – che rende inutili, inconcepibili, le idee, le radici e le culture e afferma il suo dominio cinico e nichilista sull’individualismo globale e mutante. Un orizzonte di massa che mortifica ogni cultura; ma ancor più la cultura di destra, fondata su basi naturali, ereditarie e spirituali, fino a collimare col senso della tradizione, nettamente divergenti col trend dell’epoca. La fine della cultura di destra ha dunque una piramide di responsabilità, interne ed esterne: ma al vertice c’è il certificato di non conformità all’epoca dell’automatismo tecno-economico. 

A parte l’espressione caduca di cultura di destra, è possibile sottrarsi all’atrofizzazione delle facoltà pensanti e mitiche, alla chiusura della mente e suscitare un pensiero divergente, nuovo e antico, cioè capace di passato e di avvenire? La domanda contiene in sé il seme di un proposito. 

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Marcello Veneziani

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