La lettera. L’uragano Trump fra Usa ed Europa

Donald Trump
Donald Trump

Mentre il Partito Democratico aveva pochi candidati, nel Grand Old Party si è assistito ad una vera e propria ammucchiata: Ted Cruz appoggiato dai Tea Party, Jeb Bush e il suo ex delfino Marco Rubio favoriti dai vertici del Partito. A seguire il popolare governatore dell’Ohio John Kasich e il neurochirurgo Ben Carson. E poi Donald Trump, che, tra una battuta politicamente scorretta e un insulto all’avversario di turno, sbaragliava tutti tra lo stupore generale. Mai avevo immaginato, durante la scorsa estate, che il tycoon newyorkese avesse potuto farcela e sfidare la strafavorita dei Democratici, Hillary Clinton.

Sul fronte dei democratici si è assistito all’ascesa di Bernie Sanders, anti-capitalista, ateo, dalla parte dei più deboli (a suo dire), che in Italia altro non sarebbe che il tipico prodotto ultra-liberal delle facoltà post sessantotto. Un candidato che, a mio parere, non pare essere l’ideale per la cultura americana, che si basa su valori totalmente differenti.

Se Hillary era favorita alla presidenza fino a qualche settimana fa, nonostante i numerosi sgambetti di Sanders, ora la situazione non sembra così scontata. Da una parte la Clinton eredita parte dell’elettorato di Obama, e cioè gli afroamericani, le minoranze ispaniche, i movimenti femministi, ma soprattutto anche i repubblicani che non se la sentono di appoggiare Donald Trump (#NeverTrump). Da non sottovalutare l’alta finanza di Wall Street che finanzia la sua campagna elettorale. Detto questo, Clinton inizia già a pagare il caso Emailgate e l’annosa vicenda del consolato Libico di Bengasi (dove morì l’ambasciatore con alcuni marines, episodio che ricorda l’assalto all’ambasciata di Teheran durante la rivoluzione islamica), per non parlare dei tanti scheletri nell’armadio di suo marito Bill.

La situazione di Trump è simile a quella che sta accadendo in Europa con il Front National di Le Pen, l’FPO in Austria e l’AFD in Germania. Accusato di essere populista, xenofobo, maschilista (insomma: brutto, sporco e cattivo), con i contestatori liberals che urlano e tentano di boicottare i suoi comizi, il Donald politico è figlio del sentimento popolare contro la politica che si è alimentato negli ultimi anni, che intende contrastare l’aumento delle tasse, l’immigrazione illegale e l’Obamacare.

Se riuscirà nell’impresa di diventare presidente potranno bruciare le tappe anche quei partiti europei prima menzionati e ora in ascesa, primo fra tutti il Front National. I recenti sondaggi danno Donald Trump testa a testa con Hillary Clinton. Negli ultimi giorni ha ricevuto l’endorsement di molti esponenti del GOP. Il suo entourage ora è composto da professionisti, come è necessario che sia per chi punta a diventare presidente degli Stati Uniti, e il suo modo di parlare si è fatto più consono ad un politico – anche se le sue battute piacevano e facevano il suo gioco oltre ad attirare feroci polemiche – e lo slogan Make America Great Again sembra azzeccatissimo.

Trump intende risolvere i problemi interni, creare una sorta di isolazionismo e lasciare agli alleati internazionali i loro problemi da risolvere. Su due argomenti i due candidati sono simili: il ridimensionamento dell’Iran, voluto a sua volta da Obama per indebolire l’egemonia saudita nella regione, e la difesa di Israele. Ecco perché gli ideali di Sanders striderebbero con tutto ciò che la nazione in larga parte rappresenta.

Sicuramente ci troviamo di fronte ad elezioni storiche e i protagonisti stanno già facendo a gara per infamarsi a suon di spot pubblicitari. In America funziona così!

* esponente del Tea Party Italia

@barbadilloit

Marco Loriga

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