La lettera. Per ridurre le emissioni servirebbe il nucleare. Ma l’uranio non si estrae in Arabia

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Pubblichiamo un intervento, documentato e con una tesi geopolitica di fondo, su un tema, il nucleare, che dilania ogni schieramento politico italiano.

Caro direttore,

nel dibattito di fine 2015 su inquinamento dell’aria e riscaldamento globale, si è discusso principalmente di consumi privati e automobili, senza però concentrarsi realmente sul problema principe dell’odierna civiltà industriale, rappresentato dalla produzione di energia elettrica. In Italia gli ambientalisti hanno sancito, dopo varie battaglie contro l’energia nucleare e un referendum, che l’energia deve essere prodotta solo con i combustibili fossili, unica fonte efficiente, affiancandoli con qualche inefficiente impianto fotovoltaico e eolico, questi ultimi più fonte di business che di energia.

Lamentarsi che in Italia c’è troppo inquinamento e l’aria è irrespirabile è dunque un controsenso, quando l’unica alternativa veramente pulita è stata abbandonata, sull’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl, dovuto però all’incuria e alla sciatteria degli impiegati sovietici, ormai avviati ad essere archiviati dalla storia. Si può mettere sullo stesso piano un impianto moderno e controllato con quella baracca arcaica e senza manutenzione che era la centrale ucraina?

Oggi, in assenza di altri incidenti significativi, nonostante il 30% dell’energia europea sia prodotta da centrali nucleari (la statistica è la nemica dei movimenti ideologizzati), la foglia di fico degli anti nuclearisti è stata trovata nelle scorie radioattive, la cui quantità prodotta (fonte Enea) è irrisoria; e una volta stoccate non rappresentano un pericolo reale. Meglio dunque la sicurezza del cancro dovuto all’inquinamento atmosferico (fonte Registro Tumori), piuttosto che una possibilità remota di contaminazione dovuta a scorie radioattive.

Purtroppo però la propaganda dei movimenti ambientalisti (ahimè non sempre “de sinistra”) e la faciloneria degli elettori italiani sono un connubio esplosivo per ridurre la nazione all’immobilità e soffocare la pianura padana in una cappa di smog. Che senso avrebbero le automobili elettriche mosse da energia prodotta da petrolio o, addirittura, dal carbone? Il gas naturale è forse meglio, ma sempre di fonte fossile si tratta.

Forse il punto è proprio questo. Guardando una semplice cartina delle zone di estrazione dell’uranio, si può ben comprendere come l’Italia e in generale tutti gli stati, se diminuissero la dipendenza dall’orbita dell’energia fossile, creerebbero uno scossone geopolitico. Le petromonarchie con l’uranio non c’entrano nulla, l’Africa ne ha ben poco. E dove c’è, in Niger, è estratto diffusamente con le solite logiche neocolonialiste. Sarebbe però abbastanza difficile inscenare una guerra altrove per prendersi l’uranio, dato che il 60% del mercato è detenuto da Kazakistan, Canada e Australia.

La situazione paradossale dell’Italia è che a nord è cinturata di centrali nucleari, da cui compriamo energia. L’italianissima Enel è gestore di centrali in Slovenia.  Robe da chiodi insomma, se aggiungiamo l’Eni, che è una delle aziende più importanti al mondo nel campo dell’energia e delle estrazioni. Avremmo tutti gli strumenti dunque per un programma nucleare serio, che ci permetterebbe di ridurre le emissioni. Una centrale nucleare immette nell’aria semplice vapore acqueo. Ma in un Paese in cui la cultura del politico medio spinge a proporre di andare a 30 all’ora al posto di 50, certi argomenti difficilmente possono fare presa.

Purtroppo sia a destra che a sinistra, fare gli utili idioti della lobby del petrolio è uno sport molto appassionante. Meglio non disturbare.

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Francesco Filipazzi

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