Claudio Mutti, saggista ed editore, è noto ai lettori de “il Borghese”. Filologo di formazione, studioso di lingue ugrofinniche, ha lavorato in qualità di assistente presso l’Ateneo bolognese. Nel periodo giovanile ha militato nell’organizzazione Giovane Europa di Jean Thiriart. Nel 1973 assunse la presidenza dell’Associazione Italia-Libia e nel 1979 quella dell’Associazione Europa-Islam. Appassionato studioso di lingua e cultura romena ha tradotto scritti significativi afferenti agli ambienti della Guardia di Ferro. Attualmente dirige la Rivista di studi geopolitici Eurasia. Con le Edizioni all’insegna del Veltro pubblica studi sul simbolismo tradizionale, traduzioni commentate di filosofi greci e studi storici. Nel catalogo compaiono lavori di pensatori eterodossi, da Julius Evola a Costanzo Preve. Tra i suoi scritti ricordiamo Simbolismo e arte sacra (Parma, 2013); Il linguaggio segreto dell’Antelami (Parma, 2014); Julius Evola sul fronte dell’Est (Parma, 1999); Eliade, Vâlsan, Geticus e gli altri. La fortuna di Guénon tra i Romeni (Parma,1999); Saturnia regna (Genova 2015). Ci ha gentilmente concesso l’intervista che segue sul libro di Robert Brasillach, poeta e scrittore “collaborazionista”, intitolato Presenza di Virgilio (per ordini: 0521/290880, euro 22,00), da lui tradotto e da poco pubblicato in elegante edizione per i tipi di All’insegna del Veltro.
Professor Mutti, ho letto da poco Presenza di Virgilio di Brasillach. È un testo sicuramente forte e coinvolgente che permette di cogliere un tratto caratteristico di ogni giovinezza: il nitore. In Brasillach tale tratto si traduce in preziosa cifra stilistica. Quali ragioni indussero questo ventenne ad impegnarsi in queste pagine e quali furono i numi tutelari cui si riferì sotto il profilo della ricerca storico-filologica?
L’interesse di Brasillach per Virgilio risale agli anni del liceo, quando Robert fu allievo di Gabriel Marcel e poi di André Bellessort, che nel 1920 aveva pubblicato Virgile, son oeuvre et son temps. Il professor Bellessort, affettuosamente rievocato dallo scrittore in Notre avant-guerre, era simpatizzante dell’Action Française. Tra gl’intellettuali maurrassiani era diffuso il culto di Virgilio, tanto che, a detta di Alice Kaplan, “ogni intellettuale di rispetto dell’Action Française poteva citare a memoria versi del poeta latino”. Lo stesso Brasillach si ispirò a Virgilio nel 1926, quando partecipò ad un concorso di poesia con una sua composizione in versi. Fu così che quattro anni più tardi, dovendo scrivere il saggio richiesto dall’École Normale nell’anno del Diploma, il giovane Brasillach scelse di occuparsi di Virgilio, del quale ricorreva il bimillenario della nascita. Prese forma in tal modo Présence de Virgile, il primo libro da lui pubblicato.
L’interesse di Brasillach per Virgilio è multiforme, ma mi pare abbia un centro ben definito: la politica. Infatti, il francese scrive “Il poeta è uno che deve servire come gli altri uomini. Si deve dare alla bellezza una base morale, politica, religiosa, storica”. L’autore scrive negli anni Trenta del Novecento il suo Virgilio, quale funzione poteva svolgere allora la letteratura?
Virgilio, che aveva aderito al progetto imperiale di Augusto mostrandone la corrispondenza col mito d’origine di Roma, non poteva non rappresentare un modello di impegno politico per gli uomini di lettere negli anni in cui l’Italia ambiva a valorizzare le origini romane ed a trarne ispirazione per la propria vita civile. Ma non si trattava soltanto dell’Italia; all’epoca, come ho già ricordato, la fortuna di Virgilio era notevole anche negli ambienti dell’Action Française. Poeta e narratore, Robert Brasillach vide nel fascismo, più che una dottrina politica, un mito nel senso soreliano del termine: il mito del XX secolo. “Il fascismo è spirito”, scrive infatti in Notre avant-guerre. Perciò la funzione ideale del letterato affascinato dal fascismo “immenso e rosso” non poteva essere essenzialmente molto diversa, mutatis mutandis, da quella che un Virgilio o un Orazio avevano svolta sotto l’influenza del mito di Roma. Brasillach, come il suo Virgilio, “aveva abbandonato l’idea che l’arte bastasse a se stessa e che la bellezza è l’unica cosa di cui essa debba preoccuparsi”. Come il suo Virgilio, anche lui “assegnava alla bellezza una funzione morale, politica, religiosa, storica, educativa”.
L’autore presenta le tappe fondamentali della biografia virgiliana, sia sotto il profilo esistenziale che intellettuale. Secondo Brasillach quali sono stati gli incontri fondamentali e gli accadimenti più rilevanti che resero Virgilio poeta della Romanità?
Dopo averci mostrato come già nelle Georgiche fosse presente l’ammirazione del poeta per i valori della romanità, Brasillach non trascura il rapporto di Virgilio con Ottaviano e dedica un capitolo di Presenza all’evento epocale della battaglia di Azio, in conseguenza della quale il vincitore assunse la guida dell’impero e la Pax Romana si estese a tutto il Mediterraneo. Virgilio, leggiamo, “aveva visto l’Impero finalmente fondato, la pace che regnava con l’ordine ristabilito”. Ma l’autore si sofferma anche sulla figura di Mecenate e sulla funzione del suo circolo, né tralascia l’incontro di Virgilio con Tito Livio nel momento in cui questi cominciava a pubblicare la sua storia di Roma. Tutti fatti importanti in relazione alla genesi dell’Eneide; ma il poema, dice Brasillach, nacque soprattutto dalla gratitudine di Virgilio per “tutti coloro che avevano plasmato, come un’opera d’arte, la nazione da cui egli era nato”.
Brasillach più volte sostenne di richiamarsi al cattolicesimo medievale. In Presenza di Virgilio mi pare emerga una vocazione “religiosa” più profonda. Nella descrizione della natura, dei paesaggi, della fedeltà amicale, si manifesta un suo paganesimo spontaneo e naturale. In sintonia con Virgilio, coglie la coincidenza di tecniche agricole e riti, con i quali percepiamo le misure e i ritmi del cosmo. Concorda?
Il carattere rituale che il mondo antico attribuì alle tecniche agricole è dichiarato da Virgilio nel primo libro delle Georgiche: “Prima Ceres ferro mortalis vertere terram – instituit”. I lavori dei campi, di là dal loro significato materiale, costituiscono la liturgia che ripete l’atto fondativo di Cerere, la dea che in illo tempore insegnò ai mortali a rivoltare le zolle con l’aratro. Analogo è il caso dell’apicoltura, la tecnica istituita da Aristeo, al quale è dedicata la parte finale delle Georgiche. Inventor dell’allevamento delle api oltre che promotore di attività agricole e pastorali, Aristeo non è solo una figura di eroe civilizzatore e di benefattore dell’umanità, nonché il prototipo dell’agricoltore perfetto, ma è addirittura una sorta di divinità tutelare. D’altronde il poeta mantovano, forse anche per gli “atavici richiami del suo sangue contadino” chiamati in causa da Ettore Paratore, avvertiva il richiamo dei culti di carattere agrario diffusi tra la plebe italica. Per quanto riguarda Brasillach e per inquadrare l’attrazione che esercitarono su di lui la pietas virgiliana e l’antica religiosità italica, forse non sarebbe fuor di luogo tener presenti le difficoltà nelle quali un cattolico dovette venirsi a trovare allorché la Santa Sede condannò l’Action Française e proibì agl’iscritti di questa la partecipazione ai sacramenti.
L’aspetto del libro che mi è parso maggiormente rilevante credo vada individuato nella lettura dell’epoca virgiliana in termini di contemporaneità, il che implica una negazione, come ricorda in prefazione Attilio Cucchi, dell’idea di progresso. Virgilio diviene per Brasillach il paradigma del suo agire nel mondo al fine di propiziare un Nuovo Inizio. Quale il suo giudizio?
“C’è nelle Georgiche il fremito della palingenesi”, scriveva il latinista Gino Funaioli celebrando il bimillenario di Augusto. Ma l’aspettativa palingenetica, che traeva alimento dalla dottrina etrusca del saeculum e dalla renovatio augustea, si era già manifestata nelle Bucoliche, soprattutto nella quarta, annunciante l’inizio di un “magnus saeclorum ordo” e l’avvento di una celeste “nova progenies“, mentre nell’Eneide si presenterà nei termini dell’ “imperium sine fine” promesso da Giove. Nel decennio inaugurato dal bimillenario virgiliano circolarono in Europa parole d’ordine che sembravano veicolare nuove aspettative messianiche: “Neuordnung”, “Tausendjähriges Reich”, “Ordine nuovo”, “Reich millenario”. Così Brasillach fu indotto a scorgere il nuovo inizio in quello che egli stesso chiamò “un immenso movimento di rinnovamento”, ossia nelle rivoluzioni italiana e tedesca. (da Il Borghese)