Elio Fiorucci non c’è più. È partito per un nuovo lunghissimo viaggio. Personaggio discreto quanto solare, uomo di rara educazione, per i ragazzi invecchiati dei Sessanta-Settanta rimarrà per sempre un simbolo di creatività, di allegria. In quegli anni tragici, in quella Milano cupa e cattiva, lo store di Galleria Passerella era un’isola di freschezza e di gioia. Di bellezza. Un rimedio alla noia dell’ideologismo (di tutti i colori) e un valido antidoto alla sciatteria dei militonti/e d’ogni bandiera.
Natalia Aspesi spiegava così il successo di questo stilista atipico in quel tempo crudele: “Fiorucci rappresentava la vampata della giovinezza senza la politica, dell’anticonformismo senza lo spinello, della fantasia senza la necessità di mandarla al potere”.
Aveva ragione.
Come tanti in quei momenti, appena potevo, tra un volantinaggio e una riunione (spesso pallosissima), m’immergevo nel mondo di Fiorucci: colori, musica, jeans, magliette, belle commesse… e dimenticavo le inascoltabili canzonette “politiche” (dei veri inni alla sfiga), le ragazze malvestite, gli eskimo color cacca dei compagni e le giacche militari verde-muschio dei “nostri”. Scordavo per un attimo l’odio diffuso che respiravamo ad ogni angolo, in ogni scuola e fabbrica, in tutte le redazioni. Da Fiorucci sognavo e compravo.
Più tardi, passata finalmente l’ondata della follia e svaniti i peggiori anni della nostra vita, conobbi infine l’uomo di Galleria Passerella. Fiorucci, sebbene avesse venduto il marchio ai giapponesi e ceduto lo store agli svedesi, restava un personaggio centrale della scena milanese e collaborava intensamente con il sindaco Albertini e il suo assessore alla Moda Giovanni Bozzetti — un ragazzo intelligente e quindi inviso ai professionisti della politica —. Con Giovanni organizzammo una serie d’eventi a favore dei giovani stilisti e delle scuole di moda e coinvolgemmo Elio. L’uomo ci sorprese per il suo entusiasmo, la disponibilità, l’intelligenza e, perché non dirlo?, per la vicinanza culturale, per il suo interesse verso una “certa” idea di città e per “certi” autori.
«Non era di certo di sinistra, anzi. Poi queste stupidaggini sulla “moda democratica”, il ’68… i suoi orizzonti erano la Londra pop, Rio, Ibiza, Miami… altro che gli incubi maoisti di Capanna, l’operaismo di Negri e le altre minchiate gauchiste. Ma come si può catalogare una testa libera come Elio?… »,
mi ricordava questa mattina Giovanni. Già, non si può catalogare, arruolare post mortem Fiorucci — uomo e artista indipendente, anche dalle regole del mercato figuriamoci da quelle dei partiti — e farne, come ha tentato l’inutile Pisapia, un’icona “dem”.
Al di là di queste miserie provinciali, rimane intatto l’insegnamento di Elio Fiorucci: cercare la leggerezza evitando la superficialità, esaltare la bellezza e offrire emozione. Senza fingere, senza barare. Perché, come Elio ricordava “la moda è viva è parla all’uomo, e l’uomo cerca l’anima”.
@barbadilloit