BarbaVisio. Il Regno di Carrère, l’occasione perduta per un capolavoro (che non c’è)

Emmanuel Carrere
Emmanuel Carrere

Sulla falsa riga della Vita di Gesù di Ernest Renan, Emmanuel Carrère ricostruisce ne Il regno la vita di Paolo di Tarso e il suo contrastato rapporto con la setta ebraica di Giacomo, fratello di Gesù, che combatte con ogni mezzo il deviazionista ed ex collaborazionista dell’Impero, sullo sfondo di diatribe sulla circoncisione e sull’alimentazione rituale, il tutto sotto gli occhi di Luca, un medico macedone un po’ credulone e ingenuo che scriverà gli Atti degli apostoli e un vangelo.

L’onestà intellettuale di Carrère è il vero oggetto del libro: nelle prime 180 pagine l’autore ci tiene a raccontare, in una lunga excusatio non petita, la sua conversione al cattolicesimo e la sua riconversione allo scetticismo. Superato questo prologo, il lettore entra nel vivo della vicenda terrena di san Paolo. Non si tratta del testo di uno storico o di uno studioso di storia del Cristianesimo, infatti Carrère dopo aver ricostruito i fatti (senza citare fonti documentate o riferimenti bibliografici) ci tiene a specificare che siamo di fronte alla sua opinione personale. E non si tratta neanche di un romanzo, poiché gran parte del libro vede protagonista lo stesso Carrère impegnato in riflessioni e divagazioni sull’opera che sta scrivendo e di cui è consapevole che non sarà il capolavoro agognato. Per creare ancora più distacco dalla materia, e per non tradire la sua immagine di scrittore materialista cinico e spregiudicato, Carrère interseca la vita dei primi cristiani con considerazioni personali sulla pornografia online e i gusti sessuali di sua moglie. Poche righe infine racchiudono il pensiero a cui è giunto (o forse da cui è partito): la Chiesa ha esaurito il suo ciclo vitale e non sa rinnovarsi perché mitizza le proprie origini (è talmente vetusta ancora usa termini greci come ecclesia invece di assemblea, sic!).

Conclusioni sbrigative da un punto di vista accademico, ma in linea con l’arte di emettere sentenze tipico di una certa ala di intellettuali che non si lasciano intimorire da temi che forse sono al di fuori della portata di un romanziere. Vedi Michel Houellebecq che, con minore spocchia ma con maggiore spericolatezza, in Sottomissione ravvisa la radice delle religioni monoteiste nella pratica sadomaso.

Il regno non sembra sortito dalla tormentata ricerca di un ex credente (come spacciato nel prologo), piuttosto sembra scritto sul tavolo di un bistrot davanti a un bicchiere di Pernod (tanto per citare un autoritratto ricorrente nel testo) da uno scrittore giunto all’apice della sua fama che ha voluto annoverare un San Paolo esaltato e borderline nella galleria dei suoi personaggi al fianco del paranoico Philip Dick, dell’omicida dell’Avversario e dell’avventuriero Limonov.

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Francesco Patrizi

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