La lettera. Giampiero Rubei non parlò di metapolitica. La mise in pratica

rubeiCosa significa la parola comunità?
Leggo sul Vocabolario della Lingua Italiana a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani nel 1905 la seguente definizione: “Insieme di persone che hanno comunione di vita sociale, condividono gli stessi comportamenti e interessi; collettività”.

Perché ho sentito il bisogno di leggere il significato di comunità? E’ presto detto: la colpa è della triste notizia della scomparsa di Giampiero Rubei. Il termine comunità per me ha una importanza cruciale, a dispetto degli stili di vita moderni che vanno nella direzione opposta. Ma non divaghiamo: Giampiero Rubei non c’è più.
Non ho potuto conoscerlo personalmente, ma il suo nome tra gli amici di partito, il Msi, più grandi di me godeva di grande considerazione e ammirazione. L’operato e le attività di Giampiero Rubei gli hanno fatto tributare una messe di post e articoli (Barbadillo, Destra, Secolo d’Italia, Agenparl, La Repubblica, Il Tempo, La Repubblica Roma, Il Messaggero e molti altri).

Per i militanti del Fronte della Gioventù della mia generazione il suo nome, prima che al jazz, era legato ai Campi Hobbit, che ideò insieme a Generoso Simeone. I Campi Hobbit furono un’esperienza politica del mondo giovanile della destra fortemente innovativa e di rottura rispetto al passato. Segnarono in qualche modo il passaggio dalla politica alla metapolitica; notevole eco ricevettero anche dalla stampa non di area che in alcuni casi li paragonò alla manifestazione del Parco Lambro dei giovani di sinistra.

Metapolitica si diceva, in fondo è questo il messaggio e il lascito di Giampiero Rubei, come scrive pure Annalisa Terranova sul Secolo d’Italia nell’articolo significativamente intitolato “E’ morto Giampiero Rubei. Da Evola al jazz, la sua avventura ha lasciato il segno a destra”. Di lui hanno anche scritto su Romait “Senza di lui non ci sarebbero stati il jazz a Roma, l’Alexander Platz, Villa Celimontana, il rilancio della Casa del Jazz…”.

Tanti sono i nomi, di Giampiero e di troppi altri che non ci sono più, che appartennero alla mia cara e antica comunità di un tempo. Una comunità che, contrariamente a come veniva quasi sempre dipinta, era contraddistinta da una grande vivacità intellettuale nell’eterogeneità di mille voci e anime. Sono fiero di averne fatto parte. Grazie Giampiero, riposa in pace.

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Giovanni Fonghini

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