Figlid’Italia. In ricordo di Paolo Colli eroe concreto e disarmato

Paolo Colli
Paolo Colli

Una risata.
Una risata forte, contagiosa, disarmante.
E una parola: cialtrone! Il suo modo di salutare, di commentare, di insultare.
Sono le prime cose che mi vengono in mente pensando a Paolo, che mi vengono in soccorso per riempire il vuoto che ha lasciato tra noi. Spesso si usano parole di circostanza, si dice che sono sempre i migliori che se ne vanno, a volte capita che sia così veramente. Se ne è andato il migliore. Una Chiesa stracolma, lacrime non trattenute, un dolore troppo forte, ma questa volta il nemico non aveva regole. Farsi largo in tempo per sentire: “Signore, non siamo tristi perché ce lo hai tolto, ma siamo felici per il tempo che ci hai concesso di vivergli accanto”. Faccio fatica a capire che è vero ed invidio quelli con una Fede così grande. Paolo mi manca e come a me a tanti, per questo è difficile scrivere di lui.
Come si fa a raccontare Paolo?
Immagini lontane, ricordi in bianco e nero, come molte delle foto che sfogli nella ricerca di quella risata. Ricordi che restituiscono la faccia da bimbi ai quarantenni di oggi. Foto di un ragazzo biondo… cortei e manifestazioni sempre davanti, blocchi di centrali nucleari, megafono in mano, la difesa della nostra terra dal fuoco senza risparmiarsi mai, fango e mostruose coppe di gelato, gioia e guerra. La solidarietà, il Kosovo, l’Africa, un matrimonio. Una vita passata insieme, ricordi di cui sei geloso e che ti fanno credere che il tuo dolore sia più forte di quello degli altri, ma non è così, il dolore è di molti e il mondo ha un po’ di bellezza in meno.
Per almeno tre generazioni Paolo è stato il nostro “alibi”, una faccia pulita per tranquillizzare i genitori: “C’è Paolo? Allora vai”. La semplicità di un ragazzo che negli anni in cui l’estetica e l’apparenza erano tutto, ne rappresentava il rifiuto totale. Era pura sostanza e concretezza.
Ho conosciuto soltanto un’altra persona così, un altro Paolo e ora mi piace immaginarli insieme.
I messaggi sul sito di Fare Verde aprono una finestra su mondi sconosciuti anche per i più intimi, dove Paolo imperversava, dove lottava e, soprattutto, dove era amato.
Amato: una parola stonata in un mondo più portato ad ammirare altri tipi umani, sensibile ad altre sollecitazioni. Paolo era una persona capace di calarsi negli ambiti più diversi senza modificare il comportamento, con tutti i difetti possibili, ma senza mai un cedimento o una mediazione sul piano morale, sui valori, sull’essenziale. era la negazione vivente dell’ Uno, nessuno e centomila di Pirandello. In Politica molte persone emergono senza meriti o capacità, ma sono brave a vendersi o a fare altro; Paolo ha avuto enormemente meno di quanto meritasse, senza mai chiedere niente. E non è vero che ci ha insegnato tanto, lui ci ha provato, è stato un esempio, ma gli insegnamenti bisogna capirli, degli esempi bisogna saper essere all’altezza.
È con questi principi che Paolo ha affrontato una delle sue sfide più grandi: il Kosovo. Migliaia di chilometri su strade devastate dai cingolati e dalle bombe ascoltando i cd presi alla figlia. “Troppo odio, bisogna ricostruire il tessuto connettivo di quella regione” e per farlo aveva puntato sui bambini serbi e su quelli kosovari dandogli la possibilità, attraverso il gioco, di conoscersi e non di vedersi attraverso gli occhi e l’odio dei grandi.
Progetti ambiziosi che riuscivano a conciliare la solidarietà con la meritocrazia, cercava i bambini tra le famiglie più povere o tra gli orfani, ma dovevano studiare per raggiungere il premio della vacanza in Italia. Qualcuno ha un’idea di cosa ha significato negli anni portare avanti questa follia? La diffidenza, le minacce, i permessi chiesti alla burocrazia italiana, a quella serba o a quella kosovara amministrata da funzionari ONU della Tanzania, prendere accordi con militari che cambiano ogni sei mesi e dover ricominciare sempre tutto da capo, la ricerca di finanziamenti e mille altre difficoltà. Non basta crederci, bisogna avere un’enorme forza interiore per affrontare tutto questo.
E i “suoi bambini” lo adoravano, era incredibile vedere come era accolto Paolo all’interno delle case serbe, come quelle kosovare: uno di famiglia. In questi giorni quei bambini, i suoi ragazzi, hanno deciso di ricordare Paolo, “ l’unica persona che ci ha viziato e coccolato”, e per la prima volta si sono rivisti sulla loro terra, sfidando l’odio dei grandi “per fare l’impossibile per diventare bravi come volevi tu, e che tu, ovunque sia, possa essere fiero di noi”.
Il tuo amore sta germogliando.
Grazie Paolo, eroe disarmato.
Giulio, Aprile 2005

Giulio Buffo

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