A cento anni dalla prima guerra civile europea, come un fiore sui ricordi di quelle macerie provocate dallo scontro fin lì inedito di “materiali” oltre che di uomini spunta un testo dimenticato di Ernst Junger, per la prima volta pubblicato in Italia: «La battaglia come esperienza interiore». Se il precedente, e giustamente famoso «Nelle tempeste d’acciaio», focalizzava l’attenzione sulla guerra in quanto tale, questo testo apparso pochi anni dopo è l’analisi struggente ed ispirata dei mutamenti spirituali che avvengono nel soldato, l’uomo che non conosce l’altro ma vi si immedesima nel dolore, prototipo di una modernità crudele, ma necessaria, inevitabile. Il volume è una riflessione, dunque, che ci apre all’universo interiore di chi ha frequentato le trincee e da esse ritorna, benché adornato da una Croce di Guerra, come accadde realmente a Junger, trasfigurato. La questione del nichilismo, che umanamente e dunque senza cedere alle suggestioni filosofiche, lo scrittore tedesco mette sul tavolo è cruciale in tutti i sensi.
Egli considera la guerra come un “nuovo inizio” che per quanto ineluttabile non può evitare di porre interrogativi sui destini di un’umanità dolente la cui insondabile ed istintiva volontà di potenza avrebbe trasformato e travolto lo stesso concetto di conflitto, al punto che Junger dopo la Seconda devastante guerra mondiale avvertì il bisogno di scrivere un piccolo ma intenso saggio intitolato La Pace. E che non fosse la “pace perpetua” immaginata da Kant si desume da alcune righe de «La battaglia come esperienza interiore», dove si legge: «Le battaglie e le guerre ci sono sempre state, ma ciò che vediamo qui all’opera, oscuro e incessante, è la forma più spaventosa in cui lo spirito del mondo abbia mai modellato la vita… Ciò che qui sta per scatenarsi è una battaglia nel segno di una nuovissima epoca».
Chi ha ritenuto Junger un “guerrafondaio” deve ricredersi. Queste pagine fugano ogni dubbio sulle reali convinzioni maturate dallo scrittore e viene in evidenza uno spirito attento al domani, piuttosto che un contemplatore del “mondo di ieri”. Junger s’interroga insomma sulla guerra e le sue conseguenze scorgendo quel che sarebbe accaduto con la perdita da parte dell’uomo del controllo sui “materiali”, le macchine, la tecnica. «Potersi rinchiudere nella propria sublime mancanza di scopo come in un’opera d’arte o nel cielo stellato è un lusso che solo pochi si possono permettere». Forse un “anarca” come lui, consapevole di aver attraversato il bosco della modernità per mettersi al riparo nell’attesa della liberazione dai Titani che in altre opere ha descritto come invenzioni di un’umanità che ha perduto la propria dimensione spirituale. (da Il Giorno)
* La battaglia come esperienza interiore di Ernst Junger- Edizioni Piano B