Barbara Saltamartini, cresciuta nella destra sociale e passata attraverso il Pdl e il Nuovo centrodestra, ha abbandonato la nave di Angelino Alfano per prepararsi ad aderire al nuovo progetto politico di Matteo Salvini con una Lega di respiro nazionale.
La Saltamartini ha ufficializzato l’abbandono del partito al governo con Renzi attraverso una nota nella quale parla di “una scelta difficile e sofferta, ma coerente con gli obiettivi che mi ero posta quando ho contribuito alla fondazione del Nuovo Centrodestra.”
La contestazione del metodo Mattarella di Renzi
“Una scelta – aggiunge la saltamartini – maturata dopo l’ennesimo strappo compiuto dal premier Renzi che, sia chiaro non sulla scelta del nome del Presidente Mattarella, ma nel metodo ha imposto agli alleati una decisione presa solo con il Partito Democratico e che Ncd ha avvallato alla 4a votazione, chiudendo così il dialogo aperto con altre forze di centrodestra. Con Alfano ci siamo confrontati sul piano politico su quanto fatto dalla nascita del nostro progetto, e dunque sulle successive sfide che il partito intende portare avanti”.
Passaggio all’opposizione
La Saltamartini esce dalla maggioranza che sostiene l’ex sindaco di Firenze al governo: “Con l’avvento di Matteo Renzi tutto è cambiato. È arrivata la velocità negli annunci ma pochi fatti, il Presidente del Consiglio ha imposto un metodo non rispettoso verso gli alleati di Governo, ha fatto prevalere gli interessi del PD anteponendoli a quelli degli italiani che sono in attesa di quelle riforme economiche e sociali urgenti per uscire rapidamente dalla crisi. In tal senso la linea di continuare a sostenere questo Governo, che oggi mi ha riconfermato Alfano, per quanto mi riguarda non è più sostenibile”.
Il ritratto del Foglio sulla Saltamartini e Di Paolo
Scrive il condirettore Alessandro Giuli: “Nulla di personale contro Barbara Saltamartini e suo marito Pietro Di Paolo, transfughi minori ma rumorosi dal Nuovo centrodestra di Angelino Alfano alla Lega delle destre di Matteo Salvini. Nulla di personale perché li conosciamo entrambi, grosso modo bravi ragazzi: lui già extraparlamentare negli anni Novanta, con il soprannome di “Cappuccino”, e poi aennino di rito alemanniano, tutto panza e sostanza, quindi pidiellino con incarichi di peso nella regione Lazio; lei fanciulla prodigio della Destra sociale negli anni Duemila, fatalmente vocata – più del consorte – a diventare il volto presentabile della scissione filogovernativa guidata da Angelino Alfano. Vite parallele, un solo destino. Che poi è anche e soprattutto il karma di una destra malvissuta fin dai tempi post missini, troppo stanca e affamata per ripensarsi dalle fondamenta in su, sufficientemente ambiziosa per non vergognarsi mentre imbocca la discesa tortuosa che dagli scantinati del radicalismo anti sistema sbocca nella palude del neocentrismo residuale (da Julius Evola a Lorenzo Cesa, per capirci)”.