Cinema. Il sociologo Ivo Germano: “Lilli Carati? Avrà vent’anni per sempre”

carati guidaAbbasso la retorica, viva Lilli Carati. Adesso, l’eroina della commedia sexy all’italiana, sogno erotico di intere generazioni di italiani che – insieme ad Alvaro Vitali e Lino Banfi – spiavano e imparavano il gioco e la seduzione dell’eros spiando da quell’immenso buco della serratura che era il grande schermo dei cinema, avrà vent’anni per sempre. Vent’anni per sempre, già. Come il film che, forse più di ogni altro, la consegnò alla cultura pop italiana degli anni ’70.

Più che attrice, è da considerare una icona di rottura del concetto stesso di bellezza e sensualità. La gentilezza dalla quale sognavi di lasciarti dominare. Una delle attrici più vere della rivoluzione dei costumi in Italia.

Ivo Germano, sociologo e docente all’Università del Molise, non ha dubbi: “Volete sapere chi era Lilli Carati? Chiedetelo allo sguardo estasiato, sospeso tra gratitudine e beatitudine, degli attori che ebbero la sorte di dividere con lei il set”.     

Parliamo della povera Lilli Carati…

Povera?! Parliamo della meravigliosa Lilli Carati! Una bellezza indomabile apparsa ancor più meravigliosamente negli anni ’70. Un corpo del tutto nuovo, sensuale, incatalogabile. Una statua che nemmeno gli ultimi e gravosi anni sono riusciti a scalfire.

Chi era questa rivoluzionaria?

Se volete sapere chi era, prestate attenzione allo sguardo degli attori insieme ai quali recitò. Guardate l’espressione che fece Enrico Maria Salerno, ne “Il corpo della ragassa” di Pasquale Festa Campanile tratto dal libro di Gianni Brera, quando se la ritrovò davanti nuda, con tutta la forza del suo meraviglioso e sensualissimo corpo. Osservate gli sguardi di Renzo Montagnani e quelli che le lanciava Adriano Celentano, che la adorava e che la volle con sé in ben due film.

Guardare una donna nuda, per di più bellissima come era lei, è già di per sé un’emozione…

Sì, ma quelli erano attori scafati, bravissimi e abituati ad aver a che fare con le più belle donne del tempo. Non riescono a mimare, a fingere davanti a lei. Non c’erano automatismi, abitudini o talenti recitativi che reggessero. Chiunque posava gli occhi su di lei non poteva far altro che rimanere lì imbambolato, sospeso tra la gratitudine e la beatitudine.

Cosa ha rappresentato la Carati per la cultura pop italiana?

Lilli Carati incarna quel tipo di sensualità che riesce ad attraversare ed esplorare ogni angolo dell’esistenza, in fortissima contrapposizione con le bellezze – più “aristocratiche” – di altre attrici che, in quel periodo, si contendevano con lei la scena della commedia sexy. Come Edwige Fenech, ad esempio. La Carati rappresenta il tipo della ragazza che puoi incontrare alla tabaccheria del piccolo paesino, nella piazza di una grande città, nel parco dove vai a correre. Una bellezza modernissima, soprattutto per quell’epoca, impreziosita da un sorriso irresistibile. Più ‘vera’ e perciò più vicina, se proprio vogliamo azzardare un confronto, a Nadia Cassini che alla bellona stile Barbara Bouchet. Apparentemente semplice, la Carati, ma seducente davvero. Una ragazza che, solo a starle vicino, ti faceva sentire completamente sotto il suo controllo, che ti dava la percezione di essere praticamente in suo potere, sballottato letteralmente dalla potenza indescrivibile del suo fascino. Ma c’è di più, molto di più.

E cioè?

E’ una ragazza di provincia, che arriva dal profondo Nord. Un mondo lontanissimo dalla metropoli,  il volto (e il corpo e l’animo) perfetto per “Avere vent’anni”, il film di Di Leo che lei interpretò con Gloria Guida. Riuscì a cristallizzarsi quasi, a incarnare l’idea stessa di giovinezza come stato d’animo e a rappresentarla diventando una sorta di paradigma. Lilli Carati rappresenta ancora oggi la malizia, la felicità, la gentilezza, la fresca strafottenza di chi se ne sbatte dell’essere considerata una “puttanella” dai suoi paesani. Te ne sbatti di loro che sono soltanto dei moralisti se tu hai vent’anni.

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Perché un’attrice così, come altre sue colleghe, è praticamente scomparsa dal panorama artistico italiano?  

Perché da noi si tende a nascondere la polvere sotto il tappeto. E poi Lilli è stata, in un certo senso, anche sfortunata. E’ arrivata  dopo gli anni ’80. E, in questo periodo, si cominciò a sdoganare il corpo femminile e la sua esibizione. Un vero peccato che lei rimase di nicchia solo perché precedette di pochissimi anni il trionfo mediatico di Moana Pozzi e di Ilona Staller che, nella seconda metà del decennio, riuscirono ad imporsi praticamente ovunque, conquistando ospitate prestigiose nei talk show dell’epoca, dal Maurizio Costanzo Show ai salotti di Giuliano Ferrara. C’è, però, anche un secondo motivo non meno importante di questo.

Quale?

Alcune dive, in Italia, come Sofia Loren sono “costruite” per durare. Per adeguarsi e mutare a seconda dei tempi al fine di rimanere sempre e comunque sulla breccia dell’onda. Un’attrice come la Loren è destinata a rinnovarsi sempre.Lilli Carati non è mai stata la “star”, il suo messaggio era diverso. Ma non per questo meno potente. Lilli Carati è rimasta la bella ventenne di Di Leo. L’eroina della commedia sexy, legatissima proprio a questo genere. E legata all’idea di giovinezza che nessuno meglio di lei riusciva ad esprimere nei suoi film. E poi, Lilli, è sempre stata una donna fin troppo gentile…

In che senso?

Era molto diversa da tantissime altre attrici del suo periodo. E questa gentilezza se la portò sempre dietro, sia nel suo vissuto privato che davanti alle cineprese. Anche quando si incamminò lungo la strada dell’hard non cedette mai. Non c’è un solo secondo di volgarità, da parte della Carati, in nessuna delle pellicole in cui ha recitato, anche in quelle più spinte.

Oggi ci sarebbe spazio per la “ventenne” Lilli Carati?

Assolutamente no. Manca lo Zeitgeist, non è tempo per bellezze sconvolgenti, meglio rassicuranti figurine. Non sarebbe proponibile per analogia, ce la vedete Lilli, una che rompe tutte le categorie, incasellata tra veline, letterine, panterone? Per carità. La Carati è imparagonabile, come si fa solo a pensare di “misurarla” con le Canalis o le Satta di oggi?

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Giovanni Vasso

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