IlBorghese. La svendita dell’Italia e il ruolo di Draghi, Amato e Prodi

Italia-in-venditaPubblichiamo in anteprima l’editoriale che aprire il numero di novembre de Il Borghese, firmato dal direttore Claudio Tedeschi.

Mario Draghi, chi è costui? In qualità di Direttore Generale del Tesoro, partecipò il 2 Giugno 1992 alla riunione sul panfilo Britannia, nel porto di Civitavecchia, dove fu decisa la svendita dell’Italia. Oltre a Draghi erano presenti Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, un centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassone americana (Barclays, Warburg, azionista della Federal Reserve, PricewaterhouseCoopers, Goldman ecc.) e degli ambienti industriali e politici italiani. I rappresentanti della finanza anglosassone dettarono l’agenda sul come arrivare alla dismissione delle industrie statali italiane. Ad appoggiare questa «svendita» furono «precettati» i maggiori giornali italiani. Loro toccava il compito di attuare una campagna di terrore per convincere gli Italiani della necessità di entrare in Europa.

Il Britannia fu la seconda fase dell’operazione «SvendItalia». Occorre risalire al 12 Febbraio 1981, quando l’allora Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse una lettera a Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia, con la quale sanciva il divorzio tra le due istituzioni.

Perché è importante questa data? Perché fino allora la sovranità monetaria era garantita dalla proprietà dell’istituto di emissione (Legge bancaria 1936) e controllata dallo Stato attraverso le BIN e gli ICDP. Bankitalia si impegnava a riacquistare i titoli non collocati presso privati. Con questo sistema si garantiva il finanziamento della spesa pubblica, la creazione della base monetaria e la crescita dell’economia reale.

Questo permetteva al Paese di vantare un rapporto deficit/PIL tra i più bassi d’Europa: il 41,1 per cento contro il 41,2 della Repubblica Federale Tedesca, il 42,2 del Regno Unito, il 43,1 della Francia, il 48,1 del Belgio e il 54,6 dei Paesi Bassi.

Tutto ciò infastidiva il sistema finanziario globale (grande finanza speculativa e banche) a guida «spirituale» anglosassone, non permettendo loro di entrare nel grande mercato italiano nella gestione del risparmio e di acquistare o almeno controllare i grandi gruppi industriali italiani, in gran parte di proprietà dell’IRI.

In quegli anni, il risparmio delle famiglie italiane, depositato presso le banche, era il secondo a livello mondiale dopo il Giappone. Paesi ambedue usciti sconfitti dalla seconda guerra mondiale, ma vincitori nella ricostruzione economica grazie alla sovranità monetaria.

Tutto questo finisce con il 1981. Il Tesoro, per piazzare i titoli di Stato, è costretto a ricorrere al libero mercato, senza il paracadute di Bankitalia. Il prezzo lo fa chi compra, quindi per vendere occorre aumentare i tassi di interesse. Ecco crescere la spesa per interessi passivi. Il rapporto deficit/Pil passerà dal 56,86 per cento del 1980 al 105,20 del 1992.

1992. Data fatale. Dopo l’incontro sul Britannia, finisce l’èra dei governi «politici» ed inizia l’èra dei governi «tecnici»: Ciampi, Amato, Prodi. È l’anno di Capaci, che permette alla stampa «di regime» di sviare l’attenzione dai primi effetti dell’accordo di Civitavecchia. È l’avvento di Mani Pulite, che permette di togliere di mezzo Bettino Craxi, che, per quanto invischiato nella corruzione politica, avrebbe sicuramente lottato contro la svendita del Paese. Quello stesso Craxi che aveva posto fine all’impero di Cuccia in Mediobanca e bloccato Prodi, quando in qualità di presidente dell’Iri, aveva cercato di vendere il complesso alimentare dello SME.

La politica di difesa dello Stato italiano da parte di Craxi, fu osteggiata da ambienti angloamericani che accusarono il governo di «ingerenza dello Stato in economia». Era la dichiarazione di guerra per togliere di mezzo quella classe politica che si opponeva alle velleità americane di comandare in casa nostra.

Vogliamo dire che Mani Pulite fu «pilotata»? Sì. Vogliamo dire che il PD nacque per spezzare ancora di più la coesione della politica italiana contro l’ingerenza anglosassone? Sì.

Dopo l’incontro del Britannia, Amato divenne Presidente del Consiglio e con il decreto 333 dell’11 luglio trasformò in SpA le aziende di Stato IRI, ENI, INA ed ENEL e mise in liquidazione l’Egam. Quando dovette far fronte alla speculazione contro la Lira di Soros, utilizzò 48 milioni di dollari delle riserve della Banca d’Italia, dopo avere operato un prelievo forzoso dell’8 per mille dai conti correnti degli italiani. Mise in liquidazione l’Efim, le cui controllate passarono all’IRI e trasformò le FS in SpA. Sempre nel 1992 Draghi, Direttore del Tesoro preparò la Legge Draghi che entrerà in vigore nel 1998 con il governo Prodi e si predispose una legge per permettere la trattativa privata nella cessione dei beni pubblici qualora fosse in gioco «l’interesse nazionale».

Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo prezzo e a collocare le azioni che le tre banche pubbliche, BNL (diventata della BNP Paribas), Credito Italiano e Comit detenevano in Banca d’Italia, privatizzando il 95 per cento della stessa. Indovinate chi scelse come «Advisor»?

Prodi ci portò in Europa, facendoci pagare il biglietto d’ingresso. Accettò un cambio svantaggioso per l’Italia, al fine di creare le basi dell’attuale situazione: recessione, miseria, svendita del nostro patrimonio nazionale.

Ed ora quel pesce lesso di Franceschini propone di far pagare le tasse con le opere d’arte, ancora di proprietà delle famiglie italiane. Ma quali opere d’arte? Sono anni che quello che si poteva vendere è andato via. Non abbiamo più niente. Qua sta la nostra salvezza: non abbiamo più nulla da perdere.

Loro sì.

@barbadilloit

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